Francisco de Borja y Aragón nasce nel 1510, figlio primogenito di una delle famiglie più potenti di Spagna. Il nonno paterno Juan era uno dei figli di papa Alessandro VI; il nonno materno, l’arcivescovo di Saragozza Alonso de Aragón, era figlio naturale di Ferdinando il Cattolico. Sin dalla giovinezza ebbe coscienza che l’essere discendente diretto di un papa e di un re era un vantaggio mondano, realizzato però agendo contro le leggi di Dio e della Chiesa. Forse che Dio, in qualche modo, chieda proprio a lui l’espiazione dei peccati della propria famiglia? L’inclinazione alla pietà religiosa dell’adolescente non sfugge al parentado che pensa bene di distrarlo indirizzandolo alla vita mondana. A 15 anni fa il suo ingresso alla corte di Carlo V d’Asburgo, suo cugino. L’imperatore, di 10 anni più grande, rimane colpito dal comportamento leale e giudizioso del giovane. Tale è l’amicizia di Carlo da dargli in sposa la più cara amica dell’imperatrice Isabella di Portogallo, sua consorte. Così, nel 1528, a 18 anni Francesco Borgia sposa Eleonora de Castro, nobile e virtuosa quanto lui, dalla quale avrà 8 figli. Tanta è la stima della coppia imperiale che, durante le lunghe assenze di Carlo V dalla Spagna, Francesco svolge le funzioni di consigliere dell’imperatrice. La rettitudine con la quale governa (quasi a voler controbilanciare le malefatte dei propri avi) gli porterà rancori e inimicizie tra la nobiltà. Nel maggio del 1538 l’imperatrice muore ed egli, incaricato di scortare il feretro da Toledo a Granada, se si turba nel constatare il decomporsi delle bellissime fattezze della sovrana, è ancor più colpito dall’orazione funebre sulla futilità dei beni di questo mondo pronunciata da san Giovanni Ávila, cui si affida per la direzione spirituale.
Nel 1539 diventa Viceré di Catalogna. Già il popolo comincia a chiamarlo “il duca santo” per l’onestà e la giustizia con cui governa; marito esemplare, padre affettuoso, terziario francescano, recita ogni giorno il rosario, si comunica settimanalmente e si confessa ogni mese (cosa rara all’epoca anche tra gli ecclesiastici). Nel 1542 a Barcellona, la duchessa ascolta predicare i primi gesuiti giunti da Roma e li conduce al palazzo del marito. Profondamente colpito dal metodo degli Esercizi Spirituali, si convince che la cristianità, travolta da nemici esterni e interni, non si salverà per mezzo di battaglie politiche o riforme ecclesiastiche che cadono dall’alto ma che solo per mezzo d’una profonda e personale conversione a Gesù dell’intelletto, della volontà, degli affetti si potrà operare per la redenzione dell’intera società umana. Usa pertanto tutta la sua influenza affinché Paolo III nel 1548 promulghi una speciale approvazione pontificia degli Esercizi di sant’Ignazio.
Nel 1546 muore la sua amata sposa e prende la risoluzione di diventare gesuita. Nel 1548 professa i voti nella Compagnia di Gesù con speciale dispensa papale di rimanere ancora nella vita laicale fino a quando non avesse assolto ai suoi doveri di genitore. Il 23 maggio 1550, dopo aver lasciato agli eredi tutti i suoi beni, a Roma è ordinato sacerdote. Rifiuterà la nomina a cardinale offertagli da ben tre papi. Diviene uno dei più importanti collaboratori di sant’Ignazio di Loyola, è incaricato di controllare la diffusione dell’Ordine nella penisola Iberica e nel Nuovo Mondo. Nel 1557 ad Avila incontra santa Teresa, rassicurandola della bontà delle sue esperienze mistiche; scrive la santa: “Mi fornì il rimedio e i consigli più opportuni. In queste cose serve assai l’esperienza”; preziosa attestazione sull’intensa vita mistica del padre Borgia. Nominato esecutore testamentario di Carlo V, il suo ritorno a corte viene mal sopportato da molti aristocratici che vogliono sbarazzarsene facendolo condannare per eresia dall’Inquisizione, ma sfugge all’intrigo grazie a papa Pio IV che nel 1561 gli ordina di tornare a Roma. Il 2 luglio 1565 è eletto terzo Preposito Generale della Compagnia di Gesù. Ha dato un grande impulso all’attività missionaria in India, Brasile e Giappone. Sotto il pontificato di san Pio V è incaricato di assistere il cardinal nepote Michele Bonelli nelle sue missioni diplomatiche, ma questi viaggi furono fatali per la sua salute cagionevole: muore a Roma il 30 settembre 1572. Urbano VIII lo beatifica nel 1624. Nel 1670 è canonizzato da Clemente X.
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