I brani proposti in questo mese di aprile 2019 e nel precedente mese di marzo sono tratti dal testo “La santità”, che contiene le meditazioni dettate dal Servo di Dio Guglielmo Giaquinta negli Esercizi Spirituali del 1977 e costituisce uno dei testi nei quali egli ha approfondito in maniera più specifica il tema della santità.
Giaquinta struttura la sua analisi attingendo a piene mani al tesoro della Scrittura e fa emergere le radici profonde della vocazione alla santità, radici che egli individua nel progetto, nel desiderio, nella volontà di Dio di comunicare all’umanità il suo Amore e rendere così ogni uomo partecipe della sua vita divina. La vocazione alla santità si vive e si realizza in questa dinamica di dono e risposta d’amore: è la corrispondenza massima dell’uomo all’amore infinito e gratuito di Dio.
Cristo ha consegnato il suo messaggio di santità alla Chiesa perché fosse la Chiesa ad attuarlo, in ciascuno dei suoi membri. La prima sottolineatura che Giaquinta offre alla riflessione del lettore è la necessità di una conoscenza concreta, fortemente vissuta, tessuta nell’esperienza, per essere testimoni di un messaggio che ha trasformato la vita di chi lo annuncia, perché “Solo se si è esperienza di Cristo si è credibili”.
Il santo di oggi, e di ogni tempo, sente forte in sé il desiderio di portare il messaggio di santità di Cristo a tutti gli uomini, perché in Lui possano trovare risposta ai loro desideri più profondi.
Il Servo di Dio delinea il profilo del santo di cui oggi il mondo ha bisogno: non è un elenco di caratteristiche, ma presenta il ritratto di un santo vivo, concreto, radicato nel mondo e nella storia.
Gesù è l’uomo senza spazio e senza tempo personale, perché il suo spazio e il suo tempo appartengono agli altri. Questo è l’amore per il prossimo.
Agostino ci dice che siamo figli di Dio ma che, quando noi non amiamo il prossimo e contristiamo i nostri fratelli, non siamo generosi verso di loro e li feriamo, siamo figli del diavolo.
Il piano di santità che Gesù ha portato con il suo messaggio e con il suo esempio l’ha poi consegnato completamente alla Chiesa perché fosse la Chiesa ad attuarlo. Quando però si parla di Chiesa non si intende un ente astratto, ma in primo luogo quella Chiesa per cui Gesù disse Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 16, 18): la Chiesa gerarchica (Papa, Apostoli, vescovi, sacerdoti) e poi tutto il popolo di Dio. Quindi il piano di santità iniziato da Gesù deve essere continuato dalla Chiesa, gerarchia e tutti noi.
Dobbiamo portare agli altri l’esempio di Cristo, il suo messaggio, ma soprattutto l’esperienza di Lui per condurre poi alla vita sacramentale (battesimo, eucaristia, penitenza, cresima).
In questo modo appare chiaro come il piano di santità di Gesù non si esaurisca con Lui ma venga continuato dagli Apostoli e attraverso loro e dopo di loro dai Vescovi, dai sacerdoti e da tutta la «ecclesia» la quale, giova ripeterlo, ha il compito di portare l’esempio, il messaggio, e la propria esperienza di Gesù, per poi condurre alla grande realtà sacramentale.
A questo punto si impone una revisione circa la personale conoscenza dell’esempio e del messaggio di Gesù.
Spesso se ne ha una conoscenza nozionale o astratta, priva di esperienza, con il rischio quindi di parlare agli altri di qualche cosa non sperimentata, ovvero ci si offre all’apostolato quale puro strumento materiale, come un condotto attraverso cui passa l’acqua senza che vi sia qualche rapporto tra condotto e acqua.
Noi non siamo tubi di ferro o di acciaio o di oro o di argento, ma persone di cui Cristo vuole prendere possesso e attraverso cui vuole trasmettere il proprio messaggio di amore.
Solo se si è esperienza di Cristo si è credibili.
Un’altra domanda ancora ci si può porre: il messaggio di santità che Cristo è venuto a portare e che gli Apostoli hanno continuato a diffondere, a chi deve rivolgersi? C’è una limitazione nella espansione o questa ha invece una ampiezza universale?
Il V capitolo della «Lumen Gentium» ha confermato la teologia e la spiritualità della vocazione universale alla santità, per cui si può dire con certezza che il disegno del Padre è di chiamare tutta l’umanità, attraverso Cristo, gli Apostoli, e la Chiesa, verso la pienezza dell’amore, cioè verso la santità. Tutto il mondo è chiamato alla santità, anche i pagani, i Musulmani, gli Ebrei, gli Indù, i Buddisti, tutti. E non semplicemente alla santità nella loro situazione (anche a questo ma come linea intermedia), bensì alla pienezza della santità quale solo può trovarsi nella Chiesa cattolica ovvero universale, nella Chiesa cioè che si espande dappertutto, che è fatta per tutti, in cui tutti devono entrare.
Testi fondamentali circa questo meraviglioso disegno di Chiesa, ancora tanto lontano purtroppo dalla sua realizzazione, sono in modo particolare i due inni cristologici della lettera ai Colossesi (1, 15ss) e di quella agli Efesini (1, 10), di san Paolo, in cui si parla della recapitulatio, cioè del fatto che tutto deve essere ricapitolato in Cristo.
S. Paolo sente urgente la vocazione di andare dai pagani (con il termine «pagani» egli intende tutti i popoli di differenti religioni) per annunciare Cristo. La carità di Cristo gli brucia dentro, lo spinge e gli fa dire: «guai a me se non avrò evangelizzato» (1Cor 9, 16), cioè se non sarò andato verso tutti perché sono debitore di tutti perché Cristo mi ha scelto come apostolo delle genti.
La stessa ansia di Paolo deve bruciarci dentro facendoci superare ogni ristrettezza mentale ed ogni condizionamento nella coscienza della vocazione alla universalità della evangelizzazione della santità, in una ampiezza di orizzonti senza limiti. E il nostro particolare punto, il nostro particolare carisma, la nostra particolare angolazione, l’apostolato della santità.
Nel Nuovo Testamento Dio, il santo, ha «concentrato» la sua santità in Cristo e attraverso Cristo la santità viene data agli Apostoli (che diventano l’esperienza di Lui) e attraverso questi e la Chiesa alla umanità.
Cristo diventa la «recapitulatio», il passaggio, il tramite, colui che crea il ponte (cioè il pontefice), il mediatore attraverso cui l’umanità arriverà alla santità del Padre. Questo è un disegno molto bello e teologicamente seducente, che ha bisogno però di essere concretizzato.
Quale significato concreto esso può avere oggi?
In che modo, praticamente, oggi è possibile parlare di una simile «discesa» di santità (quasi una cascata) dal Padre al Verbo, alla Chiesa, alla umanità e quindi del ritorno pellegrinante dell’umanità verso l’amore del Padre?
Spesso si dice che l’umanità cammina verso Cristo.
Non si può negare che c’è all’interno dell’umanità una fermentazione positiva; basti pensare agli ideali, oggi immensamente più sentiti di una volta, di solidarietà, di corresponsabilità, di libertà, di opposizione alla violenza sistematizzata. Valori, questi che, indubbiamente, nascono dal messaggio di Cristo.
Sotto questo aspetto si può dire che globalmente, la umanità cammina verso Cristo, ma non certo che all’interno di una simile maturazione ci sia anche una maturazione verso la santità, verso la pienezza dell’amore, verso quell’«Audi Israel», prima ricordato, verso l’amore di Cristo e un autentico amore ai fratelli.
Dinanzi alla situazione così agitata dei tempi nostri, di violenza sistematica in tutti i sensi e in tutti i modi, in cui il sacro e il divino tendono a scomparire sempre più, non perché non abbiano valore in se stessi, ma perché la società tende gradualmente ad eliminarli in cui si tende ormai a fare a meno di Dio, di Cristo e della Chiesa, in cui l’uomo avverte in modo veramente impressionante la propria autosufficienza, come parlare di quella cascata di amore cui si accennava, di un cammino verso Cristo e verso il Padre?
L’ora della povertà è anche l’ora di Dio, l’ora dell’amore. Il momento della povertà dell’uomo è il momento della potenza di Dio, è il momento dell’amore. È questa la tematica di fondo della lettera ai Romani, nella quale facendo l’analisi della situazione del mondo a lui contemporaneo, S. Paolo arriva a concludere che è proprio nel momento in cui il mondo tocca il fondo della abiezione che scocca l’ora di Dio: il mondo sente il bisogno di Dio appunto perché ha l’esperienza della propria incapacità e della propria impotenza e quindi, giunto al limite, sente il bisogno di qualche cosa che sia al di sopra di se stesso e che possa essergli di aiuto.
Oggi ci si trova nella situazione di Paolo (di una umanità implorante aiuto) e quindi c’è la probabilità che questa umanità che implora un aiuto possa ascoltare la parola di Dio, a condizione, però, che, oggi come ieri, ci sia una voce come quella di Paolo, e che il mondo riesca ad avere (come quel tempo ebbe il grande Paolo) santi autentici, dei santi «moderni» che rispondano alle esigenze di oggi, che sappiano risolvere i problemi di oggi.
Quali dovrebbero essere le caratteristiche del santo di oggi?
Ciascuno di noi è chiamato ad essere tra questi; accostiamoci dunque a questo studio liberi dalla tentazione di proiettare tali caratteristiche al di fuori di noi e, senza pensare quindi di cercare le caratteristiche stesse in altri, decisi a viverle sulla nostra pelle, sulla nostra carne, nel nostro tempo, nel nostro spazio, per cui ciascuno deve dire: io devo essere il santo di oggi.
Quale dunque il santo di oggi? In primo luogo un uomo aperto, che abbia la capacità di cogliere il pullulare di bene, di ansie, di attese, di speranze, che sappia cogliere nei movimenti che attorno nascono, fioriscono e forse muoiono, la voce implorante dello Spirito, una creatura, cioè, aperta a tutte le suggestioni dello Spirito. Non è possibile rinchiudersi nei vari schematismi, ma è necessario avere l’ampiezza del cuore di Cristo e di Paolo nella piena fedeltà alla Chiesa, ma con l’ampiezza della chiesa stessa. Il santo moderno, quindi, deve avere un senso di ampiezza e di percezione dei valori positivi anche tra le realtà negative con il senso di ottimismo che nasce appunto dalla certezza che è lo Spirito che agisce, non dimenticando che anche la maturazione del mondo verso alcuni ideali, cui si è già accennato prima, è opera dello Spirito: è lo Spirito che agisce nel mondo, senza che questo ne abbia la percezione, spingendolo verso Cristo. Di qui la necessità di saper valorizzare gli aspetti positivi di un mondo che resiste allo Spirito.
Secondo elemento è quello della gioia. Ormai il mondo è irretito di tristezza, di paura, di terrore, va cercando sguardi che siano pieni di serenità e di gioia: la felicità è la ricerca profonda del cuore umano.
Se realmente crediamo in Cristo, se abbiamo trovato la nostra felicità in Lui dobbiamo emanare, ispirare gioia. Quante volte siamo tristi, abbattuti, pessimisti, non diamo serenità attorno a noi, non diamo gioia! Occorre avere la capacità di superare le piccole mille cose che a volte possono esserci nella vita di ciascuno per avere spazi più ampi, per dare quella gioia profonda che ci viene dal possesso di Cristo. Se tutti fossimo stati più seminatori di speranza e di gioia quante più persone ci sarebbero accostate a noi: avrebbero trovato ciò che esse cercano e cioè la felicità e la gioia.
Altro aspetto è il dinamismo. Siamo in un tempo di dinamismo e di attività, il mondo attorno a noi si muove.
I figli delle tenebre – così possiamo chiamarli con termine evangelico – sono scaltri, più capaci, più dinamici dei figli della luce. Come rimanere inerti di fronte a giovani che vengono fanatizzati dai partiti politici cui sanno darsi in forma completa fino al sacrificio a volte della vita, e senza guadagno alcuno?
Non è possibile starsene tranquillamente a contemplare la bontà del buon Dio che abita in noi con la sua presenza trinitaria, mentre il mondo attorno crolla, sereni solo di avere con noi il Signore, disinteressandosi del resto.
Il Signore non ha fatto così, il Signore si è donato. Paolo accanto all’altissima contemplazione aveva il massimo della donazione e del dinamismo.
È il momento di agire, non nel senso della fattualità puramente materiale, ma del dover portare Cristo, e ripetere con S. Paolo la esigenza di evangelizzazione e di sentire la spinta interiore: «guai a me se non avrò evangelizzato, perché ‘’amore di Cristo mi spinge e mi brucia dentro». (cfr. ICor. 9, 16).
Oggi c’è bisogno di leaders, di animatori, di persone che sappiano prendere in mano le redini, le situazioni. Molto spesso ci sono tante attese e tante speranze che non si concretizzano perché manca qualcuno che abbia il coraggio di assumersi la responsabilità, di pagare in proprio e andare avanti. Occorrono dei rivoluzionari dell’amore, persone capaci di creare attorno a sé un movimento rivoluzionario dell’amore, così come gli altri sanno fare nell’odio e nella violenza.
Tutto questo esige, come già si diceva, la perdita del proprio spazio e del proprio tempo per donarsi. È indispensabile uscire dal proprio guscio per darsi agli altri, uscire dal proprio egoismo, dalla propria autosufficienza, dalla commiserazione di sé stessi, dalle personali problematiche, dagli eventuali complessi che a volte attanagliano, perché gli altri hanno bisogno di noi, della nostra donazione, di quel Dio di cui abbiamo la presenza e il possesso datoci dall’esperienza. Ma è solo nell’amore verso il Signore, Dio nostro Padre, verso Cristo e lo Spirito, e nell’amore autentico ai fratelli, che è possibile trovare la forza di darsi a un simile ideale uscendo da se stessi e quindi trovare la motivazione della propria santità.
Questo è il santo di cui oggi il mondo ha bisogno.
Viene da chiedersi: sono io una persona di questo tipo? In caso di risposta negativa perché non dire: da oggi comincia la mia vita nuova della santità, secondo le esigenze del mondo di oggi?