Nel mondo occidentale secolarizzato in cui ci troviamo a vivere, la Chiesa ha largamente perso la sua capacità di influenza nei confronti della società nel suo complesso. Una delle conseguenze del divorzio tra cultura ecclesiale e cultura occidentale tout court ha portato, da due secoli a questa parte, alla nascita delle cosiddette “scienze umane”, tra cui in particolare lo studio scientifico della storia. Queste hanno rivendicato la loro laicità, ovvero lo sganciamento da qualsivoglia dettame confessionale, come uno dei punti cardine della propria scientificità. La frattura tra ricerca storica e dettami magisteriali ha riguardato, in particolare, la neonata scienza degli studi storico-religiosi. Con tale dicitura si intende quel ben definito campo di studi che analizza i fenomeni religiosi, intesi come “l’insieme di credenze e di riti che collegano uno o più individui con uno o più esseri extraumani”1. La relazione tra il magistero ecclesiale e gli studi storico religiosi ha vissuto, nel corso dell’ultimo secolo e mezzo, vicende alterne. Dopo una iniziale condanna nel 1907, l’uso del metodo storico da parte dei teologi cattolici è stato legittimato nel 1943 dall’enciclica papale Divino Afflante Spiritu. Da allora una miriade di studi sono stati prodotti da parte di storici, cattolici e non, con l’intento di rileggere la storia del cristianesimo da un punto di vista storico, e non teologico. Ciononostante, la diffidenza nei confronti dell’approccio storico, particolarmente in alcuni settori del cattolicesimo italiano, non è mai cessata e, ad onore del vero, essa viene spesso alimentata dalla produzione di letteratura furbescamente scandalistica che baratta la rigorosità della ricerca storica con la facile ricerca degli “scoop” volti più ad impressionare i lettori che a proporre un quadro rigoroso dello stato della ricerca.
Ad ogni modo, l’incontro tra la prospettiva storica e quella teologica diventa innegabilmente drammatico quando l’oggetto della ricerca non è lo studio di un pensatore o di un padre della chiesa, ma della stessa figura cardine del Cristianesimo: Gesù. In tal caso, infatti, le stesse fondamenta della fede cristiana, ossia la fede nell’esistenza storica di Gesù nella sua morte e risurrezione, sono chiamate in causa. Le ragioni di inquietudine da parte dei credenti non mancano. Molti temono infatti che lo studio storico della figura di Gesù possa incrinare le certezze teologiche professate dalla Chiesa. Di tali preoccupazioni si fece interprete lo stesso papa Benedetto XVI nel suo libro “Gesù di Nazareth”, dedicato appunto al Gesù storico. In esso, certificando lo “strappo avvenuto dagli anni cinquanta tra il ‘Gesù storico’ ed il ‘Cristo della fede’”, il Papa si chiede “che significato possa avere la fede in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa?”2. Questa difficoltà è fatta ancor più grave dal fatto che la natura stessa della fede cristiana, che fa riferimento a fatti storici reali, non può prescindere dalla ricerca storica.
Ad ogni modo, l’incontro tra la prospettiva storica e quella teologica diventa innegabilmente drammatico quando l’oggetto della ricerca non è lo studio di un pensatore o di un padre della chiesa, ma della stessa figura cardine del Cristianesimo: Gesù. In tal caso, infatti, le stesse fondamenta della fede cristiana, ossia la fede nell’esistenza storica di Gesù nella sua morte e risurrezione, sono chiamate in causa. Le ragioni di inquietudine da parte dei credenti non mancano. Molti temono infatti che lo studio storico della figura di Gesù possa incrinare le certezze teologiche professate dalla Chiesa. Di tali preoccupazioni si fece interprete lo stesso papa Benedetto XVI nel suo libro “Gesù di Nazareth”, dedicato appunto al Gesù storico. In esso, certificando lo “strappo avvenuto dagli anni cinquanta tra il ‘Gesù storico’ ed il ‘Cristo della fede’”, il Papa si chiede “che significato possa avere la fede in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa?”2. Questa difficoltà è fatta ancor più grave dal fatto che la natura stessa della fede cristiana, che fa riferimento a fatti storici reali, non può prescindere dalla ricerca storica.
A tal riguardo occorre dunque fare un po’ di chiarezza. Innanzi tutto, è bene ricordare che il metodo storico critico non può, per sua stessa natura, che “considerare come storicamente accertati o altamente probabili solo quei fatti che possono essere ricostruiti in base al metodo storico”, secondo gli strumenti ed i paradigmi scientifici utilizzati dalla disciplina. Gli storici hanno infatti il dovere deontologico di trattare il personaggio di Gesù come un qualsiasi altro personaggio storico. Questo vuol dire, di conseguenza, dubitare delle fonti che ce ne parlano, in questo caso, i Vangeli. Tale metodo produce, di conseguenza, interpretazioni molto diverse della figura di Gesù, talvolta incompatibili tra di loro, se non anche contrarie ai dettami della fede.
Dovremmo dunque, in quanto cristiani, osteggiare tale metodo e diffidare di ogni tentativo di ricostruzione storica della vita di Gesù? Credo che la risposta a questa domanda debba essere un convinto no. I motivi sono molteplici. Innanzi tutto, bisogna considerare che i tentativi di ricostruzione storica della vita di Gesù sono, per l’appunto, tentativi, e non dettami dogmatici. In quanto tali, essi hanno un carattere intrinsecamente congetturale e non rappresentano un giudizio definitivo. In secondo luogo, occorre ricordare che il piano storico e quello teologico sono due piani distinti. Il primo si occupa di uno studio laico della storia, il secondo della fede. Pretendere che la scienza storica confermi aprioristicamente i dettami teologici in cui crediamo vuol dire, come fece San Tommaso, pretendere certezze dove il Signore ci chiede, appunto, fede. La natura stessa della fede prevede infatti l’inattingibilità ultima del proprio oggetto. In terzo luogo, credo che lo studio del contesto storico in cui Gesù è vissuto e le prime comunità cristiane si sono formate possa essere di grande aiuto per la ricerca teologica, pur rimanendo quest’ultima essenzialmente diversa da quella storica. In ultimo, rovesciando la domanda posta dal papa nel suo libro, credo che i credenti debbano interrogarsi su questo punto: che senso potrebbe mai avere, per colui che si professa cristiano, aver paura della storia? Sarebbe come dire che abbiamo paura della Verità!
Sarebbe pertanto sbagliato appiattire la nostra fede sugli incerti dati storici che possediamo, quanto lo sarebbe osteggiare e rifiutarsi di dialogare con chi, sia pur con metodi molto diversi, ricerca la verità storica su Gesù.
Giovanni Hermanin
Dottore di Ricerca in Storia del Cristianesimo
Dottore di Ricerca in Storia del Cristianesimo
1 Giovanni Filoramo, Religione, in Giovanni Filoramo (ed), Dizionario delle religioni, Torino: Einaudi, 1993, p. 621
2 Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2007, p. 7.
2 Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret, Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2007, p. 7.
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