Popolo di Dio

(L’amore è rivoluzione, pagg. 165-169)





Il Concilio Vaticano II ha ripreso e riproposto con decisione il concetto biblico di popolo
di Dio per descrivere la Chiesa. Partendo da questo dato, Giaquinta cerca di andare in profondità, di trarne delle conseguenze per la vita spirituale di ogni cristiano e della Chiesa stessa.
Il primo elemento che il Servo di Dio mette in evidenza è la corresponsabilità di tutti i membri della Chiesa, che deriva dall’unità: tutta la Chiesa, in ogni suo membro, è
“gente santa, nazione sacra e popolo tratto in salvo”. “Abbiamo tutti gli stessi scopi sostanziali e dobbiamo quindi saperne assumere, tutti insieme, le conseguenti responsabilità”: la responsabilità della quale si parla è la realizzazione dell’utopia dei santi, da scoprire e vivere quale “ideale che deve interessarci tutti, e ciascuno deve riscoprire in se stesso la stoffa del rivoluzionario dell’amore”.
Un secondo passaggio è dato dalla dimensione universale dell’appartenenza al nuovo popolo dell’Alleanza: non è più la nascita a determinare l’appartenenza al popolo, come avveniva per i Giudei, ma è
“solo Cristo, il suo amore, il suo sangue, fede in Lui che ci salvano e che quindi ci fanno popolo nuovo, un popolo di santi”.
È l’amore di Cristo che rende la Chiesa un popolo di membra vive pronte a realizzare la rivoluzione dell’amore.


Cristo è con noi e questo ci dà la certezza non solo di poterci abbandonare alla mistica dell’amore, ma di avere, come obiettivo da raggiungere, un domani ben determinato giacché Gesù lo ha già vissuto nella sua vita terrena. Ma come trovare la forza di uscire dall’egoistico individualismo per stringerci in unità attorno a Lui e realizzare così, compatti, la rivoluzione dell’amore e il passaggio dal domani all’oggi?
Il segreto per attuare questo dobbiamo trovarlo nella nostra mutua corresponsabilità, derivante dal fatto che noi siamo un’unica Chiesa e, più precisamente, come ci insegna il Vaticano II (L.G. n. 2), un solo popolo di Dio.
Il concetto, che non è nuovo, è particolarmente importante giacché trova la sua radice nel testo della prima lettera di Pietro, in cui siamo addirittura chiamati gente santa, nazione sacra e popolo tratto in salvo (1Pt 2, 9).
Era certamente tempo di arrivare alla piena comprensione di questa legge di totalità che fonde tutta la Chiesa – gerarchia e laici – nella unità del Corpo Mistico. Infatti, è solo poggiando su questo fondamento che possiamo ritrovare il senso di responsabilità che deve gravare su tutti i membri della Chiesa.
Cristo ha voluto, certo, delle funzioni e dei servizi nella Chiesa e l’ha quindi fondata gerarchica e carismatica insieme; ma ciò nulla toglie alla sua essenziale unità e corresponsabilità. Sono queste le verità che ci fanno risalire al filone veterotestamentario del popolo amato e quindi eletto, e che danno la possibilità di pensare il nuovo popolo come una autentica «internazionale dell’amore».
In un capitolo precedente abbiamo insistito sul rapporto con «Cristo utopia, oggi-domani»: ciascuno di noi può e deve, aiutato dal Maestro, iniziare da sé, già oggi, la realizzazione del domani. Ma tale tensione si manifesta incompleta, anzi ingiusta e assurda, se non tiene conto del carattere unitario della Chiesa popolo di Dio.
Abbiamo tutti gli stessi scopi sostanziali e dobbiamo quindi saperne assumere, tutti insieme, le conseguenti responsabilità. Tutti siamo figli dell’amore; tutti siamo chiamati alla santità.
L’utopia dei santi è un ideale che deve interessarci tutti, e ciascuno deve riscoprire in se stesso la stoffa del rivoluzionario dell’amore.
Questo il significato più vero, in ultima istanza, del fatto che siamo un unico popolo di Dio. Popolo cioè scelto da Dio, in similitudine di quello del Vecchio Testamento, per attuare il piano di amore rivelatoci da Cristo.
Il concetto è certamente biblico, anche se quasi esclusivamente del Vecchio Testamento. È Dio che si è scelto un popolo il quale conserverà le sue promesse e manterrà intatto, lungo i secoli, il filone in cui si innesterà il grande atto di amore della incarnazione e del piano di salvezza-santità.
Ma con la venuta di Cristo i valori sono stati ribaltati.
Il nuovo popolo, pur essendo la continuazione ideale del primo, non ne è il proseguimento etnico e neppure legale. I figli dell’antico popolo eletto nascevano tali per un atto di amore umano espresso nella realtà generativa. I figli del nuovo popolo nascono dall’amore di una madre, la Chiesa, nata – anch’essa – dall’amore del nuovo Adamo addormentato sulla Croce.
La differenza è essenziale e costituisce il punto di rottura tra Paolo ed i cristiani giudaizzanti. È solo Cristo, il suo amore, il suo sangue, la fede in Lui che ci salvano e che quindi ci fanno popolo nuovo, un popolo di santi. Il che equivale a dire che il fondamento essenziale dell’essere noi unità non è né la legge, né il sangue, né una struttura puramente giuridica, ma la realtà sacramentale che inizia nel battesimo, si rafforza con gli altri sacramenti e si completa poi nel mangiare noi «Corpo e Sangue di Cristo» che ci trasforma nella unità di Cristo.
Siamo dunque un popolo acquistato (1Pt 2, 9) ma siamo soprattutto una «gente» santa e cioè un gruppo parentale e familiare che nasce dalla santità e cioè dall’amore di Dio.
Siamo «popolo», siamo «gente» non per volontà di uomo o di carne (direbbe S. Giovanni), ma per volontà di Dio, per l’immolazione dell’amore di Cristo, per la donazione a noi dello Spirito.
L’essere cristiani non è, non può rimanere puro fatto giuridico, anche se nasce dal carattere sacramentale. Si è cristiani vivi solo quando si abbia, vitale, la forza dello Spirito che muova e spinga alla sequela operosa e rivoluzionaria di Cristo. E questo perché lo Spirito è l’amore che unisce il Padre al Figlio, ma è anche l’anima che vivifica la Chiesa.
Solo se compresa così, cioè come comunità di amore, ha un significato reale e rivoluzionario una Chiesa popolo di Dio.
Non popolo di aggregati e di schedati, ma membra vive che, spinte dalla dialettica del massimo, sanno arrivare a comprendere tutte le conseguenze che vengono dall’essere nate dall’amore, e dal dover realizzare l’utopia dell’amore, con Cristo, nostro oggi-domani.

a cura di Cristina Parasiliti


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