Per tanto, troppo tempo, la santità è stato un argomento tabù tra i credenti: la coscienza dei propri limiti e delle proprie fragilità ha indotto tanti a ritenere che essa non sia alla portata di tutti, ma rappresenti un lusso per pochi eletti, favoriti da Dio, che ha concesso loro la possibilità di vivere in maniera integerrima e di realizzare opere portentose e miracoli, per i quali ancora oggi si ricorre alla loro intercessione. San Giovanni Paolo II, nell’esortazione post-giubilare Novo Millennio Ineunte (6 gennaio 2001), ebbe a scrivere che la santità rappresenta «la misura alta della vita cristiana ordinaria » (NMI, 31): al battezzato non è chiesto di realizzare cose straordinarie, ma di vivere straordinariamente bene la sua vocazione nello stato di vita a cui il Signore lo chiama. Non esistono ambiti privilegiati: essere santi non è solo l’obiettivo alla portata del consacrato, ma la mèta che accomuna tutti i battezzati pellegrini verso la patria celeste.
Nell’esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et Exultate (19 marzo 2018), Papa Francesco ha sottolineato che «la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita» (EG, 20); chi si prefigge di diventare santo non è deprivato della vitalità e della gioia che devono caratterizzare la vita di ciascuno, anzi può divenire quello che il Padre ha pensato quando lo ha creato (cf. EG, 32). La santità ha un volto umano, non alieno: essere santi significa vivere in pienezza la propria umanità nella consapevolezza di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26), di Colui che è Santo e vuole che tutti siano santi (cf. Lv 11, 44; 1Pt 1, 16) «di fronte a Lui nella carità» (Ef 1, 4).
L’itinerario proposto dal Pontefice è articolato in cinque tappe; nel presente articolo ne prenderemo in considerazione quattro, riservando a un successivo la riflessione sulle beatitudini. Ciascun credente è chiamato ad assumere la santità come stile e progetto di vita, confortato da quanti lo hanno preceduto perseverando nella fede: sono i testimoni (cf. Eb 12, 1) che attraggono con il loro esempio e ispirano il desiderio della perfezione. La santità è contagiosa, ma ancor prima essa è partecipata al credente dal Signore (cf. Eb 12, 10), la cui volontà è la santificazione di tutti coloro che si riconoscono come suoi figli (cf. 1Ts 4, 3).
Occorre, tuttavia, evitare due sottili nemici della santità, rappresentati dallo gnosticismo e dal pelagianesimo: nel primo caso, si presume che la verità sia comprensibile in un sistema razionale e rigoroso; nel secondo caso, invece, la salvezza è ritenuta esclusivamente il giusto premio per gli sforzi dell’uomo. Si tratta di autentiche derive dottrinali che hanno dirette conseguenze anche sul versante etico e, di conseguenza, sul piano della santità. Essere santi, difatti, non significa sapere più cose degli altri, né presumere di salvarsi solo in virtù delle buone opere compiute. La santità è apertura piena e incondizionata a Dio, che supera la nostra intelligenza e nella sua misericordia a tutti viene incontro. Non si può puntare alla santità senza amare il prossimo come se stessi (Gal 5, 14), perché la fede autentica «si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5, 6).
Puntare in direzione della santità comporta la disponibilità a sopportare le avversità della vita, ben consapevoli che «se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31). La certezza di essere assistiti da Cristo in ogni circostanza lieta e triste dell’esistenza rende più salda la fede e pone nella condizione di non replicare al male con il male, ma di opporsi ad esso con il bene (cf. Rm 12, 17. 21). La santità si addice a chi sa essere paziente e mite, senza cedere alla tentazione della violenza e del sopruso. Ciò non significa assoggettarsi alle angherie o alle vessazioni, restando in silenzio; anzi, il credente si sforza di perseguire la giustizia, con audacia e franchezza. Inoltre, la santità è espressione della «gioia nello Spirito Santo» (Rm 14, 17) che alberga nel cuore di chi non si piega di fronte alle tristezze della vita, ma sradica «la malinconia dal cuore» (Qo 11, 10) lasciandosi attirare dallo sguardo amorevole del Signore.
La comunità e la preghiera rappresentano due dimensioni peculiari del cammino di santità: non si è santi da soli; la preghiera che Gesù rivolge al Padre è che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21). La santità non mortifica il singolo né appiattisce i carismi di ciascuno, ma crea i presupposti perché il dono di ognuno arricchisca tutti nell’edificazione vicendevole. La preghiera introduce il credente nell’intimità con Dio: la preghiera è un’arte che s’impara progressivamente e si affina con l’esperienza. Suscitata dal desiderio di Dio, consente di rinnovare il rapporto di alleanza con Colui che, nella sua Parola, si rivela e manifesta la sua volontà, e nell’eucaristia si rende sostanzialmente presente.
Chi aspira alla santità non può fare a meno di esercitarsi nel discernimento per «resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6, 11) e vagliare ogni cosa (cf. 1Ts 5, 21) per trattenere solo ciò che è buono e giova alla salvezza. Il Papa ricorda che il principale ostacolo al cammino di perfezione è rappresentato dall’opera del Maligno, paragonato a un «leone ruggente che va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5, 8). È pertanto necessario vigilare su se stessi, badando di non corrompersi assuefacendosi a «una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito» (EG, 165). Urge saper scegliere ciò che il Signore desidera per ciascun credente, perché «solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi» (EG, 172).
La santità è un cammino di autentica liberazione da tutto ciò che appesantisce l’animo; è esigente, e il cammino che conduce al traguardo è senza dubbio impervio e irto di difficoltà. Tuttavia, il cuore dell’uomo è veramente appagato solo quando riposa in Dio, e trova in Lui l’approdo del suo terreno peregrinare. La santità non è per pochi: è di tutti.
Nell’esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et Exultate (19 marzo 2018), Papa Francesco ha sottolineato che «la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita» (EG, 20); chi si prefigge di diventare santo non è deprivato della vitalità e della gioia che devono caratterizzare la vita di ciascuno, anzi può divenire quello che il Padre ha pensato quando lo ha creato (cf. EG, 32). La santità ha un volto umano, non alieno: essere santi significa vivere in pienezza la propria umanità nella consapevolezza di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26), di Colui che è Santo e vuole che tutti siano santi (cf. Lv 11, 44; 1Pt 1, 16) «di fronte a Lui nella carità» (Ef 1, 4).
L’itinerario proposto dal Pontefice è articolato in cinque tappe; nel presente articolo ne prenderemo in considerazione quattro, riservando a un successivo la riflessione sulle beatitudini. Ciascun credente è chiamato ad assumere la santità come stile e progetto di vita, confortato da quanti lo hanno preceduto perseverando nella fede: sono i testimoni (cf. Eb 12, 1) che attraggono con il loro esempio e ispirano il desiderio della perfezione. La santità è contagiosa, ma ancor prima essa è partecipata al credente dal Signore (cf. Eb 12, 10), la cui volontà è la santificazione di tutti coloro che si riconoscono come suoi figli (cf. 1Ts 4, 3).
Occorre, tuttavia, evitare due sottili nemici della santità, rappresentati dallo gnosticismo e dal pelagianesimo: nel primo caso, si presume che la verità sia comprensibile in un sistema razionale e rigoroso; nel secondo caso, invece, la salvezza è ritenuta esclusivamente il giusto premio per gli sforzi dell’uomo. Si tratta di autentiche derive dottrinali che hanno dirette conseguenze anche sul versante etico e, di conseguenza, sul piano della santità. Essere santi, difatti, non significa sapere più cose degli altri, né presumere di salvarsi solo in virtù delle buone opere compiute. La santità è apertura piena e incondizionata a Dio, che supera la nostra intelligenza e nella sua misericordia a tutti viene incontro. Non si può puntare alla santità senza amare il prossimo come se stessi (Gal 5, 14), perché la fede autentica «si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5, 6).
Puntare in direzione della santità comporta la disponibilità a sopportare le avversità della vita, ben consapevoli che «se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31). La certezza di essere assistiti da Cristo in ogni circostanza lieta e triste dell’esistenza rende più salda la fede e pone nella condizione di non replicare al male con il male, ma di opporsi ad esso con il bene (cf. Rm 12, 17. 21). La santità si addice a chi sa essere paziente e mite, senza cedere alla tentazione della violenza e del sopruso. Ciò non significa assoggettarsi alle angherie o alle vessazioni, restando in silenzio; anzi, il credente si sforza di perseguire la giustizia, con audacia e franchezza. Inoltre, la santità è espressione della «gioia nello Spirito Santo» (Rm 14, 17) che alberga nel cuore di chi non si piega di fronte alle tristezze della vita, ma sradica «la malinconia dal cuore» (Qo 11, 10) lasciandosi attirare dallo sguardo amorevole del Signore.
La comunità e la preghiera rappresentano due dimensioni peculiari del cammino di santità: non si è santi da soli; la preghiera che Gesù rivolge al Padre è che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17, 21). La santità non mortifica il singolo né appiattisce i carismi di ciascuno, ma crea i presupposti perché il dono di ognuno arricchisca tutti nell’edificazione vicendevole. La preghiera introduce il credente nell’intimità con Dio: la preghiera è un’arte che s’impara progressivamente e si affina con l’esperienza. Suscitata dal desiderio di Dio, consente di rinnovare il rapporto di alleanza con Colui che, nella sua Parola, si rivela e manifesta la sua volontà, e nell’eucaristia si rende sostanzialmente presente.
Chi aspira alla santità non può fare a meno di esercitarsi nel discernimento per «resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6, 11) e vagliare ogni cosa (cf. 1Ts 5, 21) per trattenere solo ciò che è buono e giova alla salvezza. Il Papa ricorda che il principale ostacolo al cammino di perfezione è rappresentato dall’opera del Maligno, paragonato a un «leone ruggente che va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5, 8). È pertanto necessario vigilare su se stessi, badando di non corrompersi assuefacendosi a «una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito» (EG, 165). Urge saper scegliere ciò che il Signore desidera per ciascun credente, perché «solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi» (EG, 172).
La santità è un cammino di autentica liberazione da tutto ciò che appesantisce l’animo; è esigente, e il cammino che conduce al traguardo è senza dubbio impervio e irto di difficoltà. Tuttavia, il cuore dell’uomo è veramente appagato solo quando riposa in Dio, e trova in Lui l’approdo del suo terreno peregrinare. La santità non è per pochi: è di tutti.
Antonio Landi
Docente di Sacra Scrittura presso
la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e
la Pontificia Università Urbaniana
la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e
la Pontificia Università Urbaniana
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