Guglielmo Giaquinta (1914 – 1994)

Una riflessione sul Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, fondatore del Movimento Pro Sanctitate

Forse non conviene impegnare una scheda, che deve per forza essere contenuta per motivi di spazio, per raccontare la vita del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta (1914-1994), Fondatore del Movimento Pro Sanctitate. Esistono del resto diverse pubblicazioni che ne raccontano la vita e l’opera, fra cui piace citarne due, “Una vita di Luce” di Maria Mazzei, Tau 2014, e “L’amore redentivo di Cristo – Il cuore della vita spirituale di Guglielmo Giaquinta” di Cristina Parasiliti Caprino, Tau 2015.

Ad uno sguardo storico che ripercorra la storia della Chiesa e quella di Guglielmo Giaquinta senza lenti confessionali, il primo punto di interesse è la sua intuizione circa la centralità della chiamata alla santità ben prima che il Concilio Vaticano II la formalizzasse nella Lumen Gentium. Si dirà che il Concilio assunse questa intuizione proprio perché nella Chiesa emergevano queste tendenze, di cui Giaquinta e il suo Movimento sono espressione, verosimilmente non unica. È certamente vero.

Ma l’opera del Servo di Dio può essere – anche – interpretata come un tentativo di “scrostare” il concetto stesso di santità dal pesante armamentario tecnico giuridico che su di esso si era accumulato; fino al punto, magari, di rendere la categoria dei ‘santi’ una sorta di recinto chiuso: da invocare, da pregare, ma senza, per lo più, che ne sortisse una qualche identificazione fra la vita appunto dei fedeli e quella dei santi. Questo non è mai stato, si deve dire, l’insegnamento della Chiesa. Ma è difficile negare una sorta di “disincarnazione” nell’approccio comune al tema della santità, in quegli anni e se per questo anche oggi: ne fa fede, del resto, l’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate di recente emanazione.

Come che sia, l’appello alla santificazione universale che è il senso della vita del Fondatore del Movimento Pro Sanctitate risuona da una parte, appunto, nuovo: dall’altra invece quanto di più antico e risaputo. Accade ad ogni novità nella storia della Chiesa. “Beati i poveri” è una espressione non di Francesco di Assisi, ma del Vangelo: ma si può forse negare che il poverello abbia fatto ‘sterzare’, e potentemente, la vita della Chiesa e non solo di quella?

Dunque, una novità antica. Di antico vi risuonano non solo i ben noti passi biblici (tanti), ma anche, se si vuole, uno spirito che può apparire ingenuo proprio negli anni in cui nasce, fra i ’50 e i ’60; anni in cui il riformismo sembra contagiare un po’ tutto il mondo e si disegnano tante architetture futuribili, soprattutto in campo sociale. In tanto ‘fervore’, parlare di santificazione? Un sapore un po’ retrò. Dall’altra, una antichità alquanto nuova. “Dobbiamo, come Cristo, essere del nostro tempo, non possiamo estraniarci; ma nello stesso tempo dobbiamo non essere contemporanei”; e ancora: “Sta qui, in un certo senso, la tragedia e la grandezza della nostra missione: vivere in un mondo secolarizzato, essere secolari, ma non diventare secolarizzati”. Dunque, niente cittadella assediata che si affida fideisticamente alla sola profezia. Qui, ad uno sguardo, appunto ‘secolare’ risuonano certamente accenti nuovi, molto più condivisi e comprensibili oggi che in anni passati.

Ma quando si vuole fare ‘storia’ puramente tale, ‘laica e aconfessionale’ di un qualsiasi movimento religioso o di un suo fondatore, arriva presto o tardi il momento in cui le categorie di conoscenza proprie dello storico, dalla sociologia all’economia, al diritto e quant’altro, proprio in obbedienza al loro carattere secolare devono arrestarsi e constatare, come avviene di ogni scienza che sia tale, la propria limitatezza.

Allora, per non sottrarsi all’obbligo di disegnare un sia pure breve profilo del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, risulta evidente che le considerazioni “di quadro” sulle quali ci siamo soffermati, se aiutano, come si spera, a comprendere appunto il contorno, risultano insufficienti se non accompagnate da un concetto, quale quello della spiritualità, che solo molto parzialmente può essere oggetto di uno studio di carattere propriamente storico.

Il motore, il “senso” come abbiamo detto, della vita di Guglielmo Giaquinta, infatti, sembra doversi attingere dalla sua spiritualità, che il Movimento Pro Sanctitate da lui fondato si sforza di propagare. Essa è fondata sulla risposta all’amore redentivo di Cristo, alla sua “sete” di anime sulla Croce: “Gesù, che nell’agonia della croce rivolgesti alle anime fedeli il tuo Sitio di amore e di dolore concedi anche a me, di poter dissetare le tue labbra tormentate dalla sete”. La vocazione universale alla santità è conseguenza ed esigenza dell’amore redentivo.

Una vita lunga, operosa, feconda, all’ombra di quel “ho sete” che il Gesù morente pronuncia sulla croce: questa la vera, ultima e sostanziale biografia del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, Sacerdote, Vescovo, Fondatore. Padre Guglielmo, prega per noi.
Alberto Hermanin


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