Scrivere di qualcuno che ti è molto caro e che ritieni “santa della porta accanto” è arduo e rischioso. Ho paura di non riuscire a rendere, di sminuire, di tradire non chi era Graziella Prestifilippo, ma chi è Graziella per me ancora oggi, e la particolare esperienza dell’amore di Dio che attraverso la sua persona mi ha raggiunta, custodita, guidata, guarita… Con tante resistenze interiori ci provo ugualmente! Parto dalla fine: Graziella è stata una giovane donna consacrata, oblata (non solo di nome) cioè offerta a Dio per la santità dei fratelli… e delle sorelle!
Qualche pennellata della sua personalità: carattere forte, decisa, impulsiva, instancabile, intelligente, vivace, rispettosa e anche invadente quando si trattava di strappare qualcuno dalla mediocrità. Ma ricordiamo qualche cenno biografico.
Graziella nasce a Venezia il 17 agosto 1962, da papà Renato di Palermo e da mamma Lucia, austriaca. Frequenta a Roma le scuole magistrali e qui l’insegnante di religione, una ‘oblata apostolica’ Pro Sanctitate, la invita a dei ritiri per giovani, organizzati dal Movimento Pro Sanctitate. Dopo il diploma lavora un anno come commessa in un negozio. Nel frattempo il suo cammino di discernimento la porta alla scoperta della sua vocazione: oblata apostolica, cioè offrire la sua vita a Dio per la santità dei fratelli. Entra nell’Istituto delle Oblate Apostoliche ed emette i primi voti il 1 maggio 1985 all’età di 23 anni. Continua a studiare all’Università “La Sapienza” (si laurea in lettere moderne) e dopo i primi voti viene mandata a Pescara per sei anni, poi sarà tre anni a Palermo e uno, l’ultimo, a Catania. Nel suo spendersi instancabilmente per gli altri c’erano i giovani (io l’ho conosciuta così a Pescara), le persone più adulte, i malati… e anche i sacerdoti! Si è spesa anche in tante missioni svolte in varie parti d’Italia. Sia nell’Istituto che nel Movimento ha svolto più volte incarichi di responsabilità e coordinamento, fino ad essere nominata Direttrice Nazionale del Movimento Pro Sanctitate. Poco dopo tale nomina, il 22 ottobre del 1995, domenica della Giornata Missionaria Mondiale, muore a 33 anni “mangiata” da un cancro improvviso.
Come era Graziella?
Fisicamente si direbbe una di “sana e robusta costituzione”, con occhi vivacissimi, mani grandi… Mi colpiva perché era una giovane piena di vita e con tante passioni: leggeva moltissimo (romanzi e libri di ogni tipo), amava il cinema (in modo particolare le piaceva Nanni Moretti), e la musica leggera (Giorgio Gaber) e si intendeva anche di musica classica, suonava molto bene la chitarra, aveva una bellissima voce, ed ha anche composto diversi canti Pro Sanctitate. Aveva una risata a dir poco travolgente e quindi… faceva tanto ridere! Ottimista di natura anche se a volte l’ho scoperta in lotta con se stessa, con il suo carattere in alcuni momenti bui, di sofferenza, che anche le situazioni e le persone le causavano.
Sicuramente Graziella era una donna innamorata di Gesù Crocifisso e del carisma Pro Sanctitate. Pregava molto, negli ultimi tempi la sera tardi e la mattina prestissimo: da qui nasceva il suo instancabile e geniale dinamismo missionario, il suo intenso e instancabile spendersi per la santità dei fratelli. Una delle sue frasi divenute fra i suoi slogan più famosi: “Ho una mente, ho un cuore, ho una bocca, dei piedi e delle mani: cosa posso fare se non metterli a servizio di Dio e dei fratelli?”.
Prendo a prestito le sue mani… per descriverla ancora un po’. Giocava e faceva giocare moltissimo con le sue mani… Dalle sue mani quanti gesti di tenerezza, attenzione, servizio per chiunque le passasse accanto anche solo per un momento. Ma nelle sue mani si sperimentava anche la decisione, la fermezza, a volte la violenza dell’amore di Dio. Dalle sue mani una settimana prima di morire una lezione di fiducia: “Nella calma e nell’abbandono sta la nostra forza” e con queste parole tratte dal libro del profeta Isaia voleva rassicurare tutti noi.
Per quanto socievolissima era un tipo che amava molto anche la solitudine. Era una persona scomoda e… scomodante: aveva preso sul serio le parole del Vangelo e l’ideale della chiamata alla santità che aveva raccolto a piene mani da Padre Guglielmo, Guglielmo Giaquinta, il suo fondatore.
In un articolo scritto per la rivista “il massimalismo” in occasione di una Giornata della Santificazione Universale così scriveva:
Sembra una cosa superflua, la santità, ed è invece l’essenziale, il senso nascosto più vero ed autentico del nostro vivere quotidiano.
Basta cambiare prospettiva: non vivere più solo per se stessi, per la famiglia, per il lavoro, per avere un posto al sole in questa società ma prima di tutto scoprire che Dio è Amore, che Lui ti ama infinitamente (ama te, proprio te!). Dal Signore sei chiamato a crescere ogni giorno di più nell’imparare ad amare, attraverso la preghiera e i sacramenti, perché tu diventi un segno splendente e luminoso del Suo Amore, con gesti concreti di santità e fraternità nella famiglia, sul posto di lavoro, in questa società. È la sfida più affascinante e moderna: potenziare nel bene tutte le tue capacità umane, spirituali e relazionali aiutando gli altri a fare altrettanto. La festa del 1° novembre ci invita proprio a guardare le splendide figure di tutti i Santi: uomini e donne che hanno gustato la loro esistenza in pienezza, senza mediocrità o tristezze umane.
Avremo, ciascuno di noi, il coraggio di accettare questa proposta di santità, di una vita da costruire originalmente, mettendo in pratica il Vangelo? Questo rivoluzionerebbe la nostra società, più di dieci governi con le relative opposizioni. Ma si sa, il Vangelo è scomodo.
Qualche pennellata della sua personalità: carattere forte, decisa, impulsiva, instancabile, intelligente, vivace, rispettosa e anche invadente quando si trattava di strappare qualcuno dalla mediocrità. Ma ricordiamo qualche cenno biografico.
Graziella nasce a Venezia il 17 agosto 1962, da papà Renato di Palermo e da mamma Lucia, austriaca. Frequenta a Roma le scuole magistrali e qui l’insegnante di religione, una ‘oblata apostolica’ Pro Sanctitate, la invita a dei ritiri per giovani, organizzati dal Movimento Pro Sanctitate. Dopo il diploma lavora un anno come commessa in un negozio. Nel frattempo il suo cammino di discernimento la porta alla scoperta della sua vocazione: oblata apostolica, cioè offrire la sua vita a Dio per la santità dei fratelli. Entra nell’Istituto delle Oblate Apostoliche ed emette i primi voti il 1 maggio 1985 all’età di 23 anni. Continua a studiare all’Università “La Sapienza” (si laurea in lettere moderne) e dopo i primi voti viene mandata a Pescara per sei anni, poi sarà tre anni a Palermo e uno, l’ultimo, a Catania. Nel suo spendersi instancabilmente per gli altri c’erano i giovani (io l’ho conosciuta così a Pescara), le persone più adulte, i malati… e anche i sacerdoti! Si è spesa anche in tante missioni svolte in varie parti d’Italia. Sia nell’Istituto che nel Movimento ha svolto più volte incarichi di responsabilità e coordinamento, fino ad essere nominata Direttrice Nazionale del Movimento Pro Sanctitate. Poco dopo tale nomina, il 22 ottobre del 1995, domenica della Giornata Missionaria Mondiale, muore a 33 anni “mangiata” da un cancro improvviso.
Come era Graziella?
Fisicamente si direbbe una di “sana e robusta costituzione”, con occhi vivacissimi, mani grandi… Mi colpiva perché era una giovane piena di vita e con tante passioni: leggeva moltissimo (romanzi e libri di ogni tipo), amava il cinema (in modo particolare le piaceva Nanni Moretti), e la musica leggera (Giorgio Gaber) e si intendeva anche di musica classica, suonava molto bene la chitarra, aveva una bellissima voce, ed ha anche composto diversi canti Pro Sanctitate. Aveva una risata a dir poco travolgente e quindi… faceva tanto ridere! Ottimista di natura anche se a volte l’ho scoperta in lotta con se stessa, con il suo carattere in alcuni momenti bui, di sofferenza, che anche le situazioni e le persone le causavano.
Sicuramente Graziella era una donna innamorata di Gesù Crocifisso e del carisma Pro Sanctitate. Pregava molto, negli ultimi tempi la sera tardi e la mattina prestissimo: da qui nasceva il suo instancabile e geniale dinamismo missionario, il suo intenso e instancabile spendersi per la santità dei fratelli. Una delle sue frasi divenute fra i suoi slogan più famosi: “Ho una mente, ho un cuore, ho una bocca, dei piedi e delle mani: cosa posso fare se non metterli a servizio di Dio e dei fratelli?”.
Prendo a prestito le sue mani… per descriverla ancora un po’. Giocava e faceva giocare moltissimo con le sue mani… Dalle sue mani quanti gesti di tenerezza, attenzione, servizio per chiunque le passasse accanto anche solo per un momento. Ma nelle sue mani si sperimentava anche la decisione, la fermezza, a volte la violenza dell’amore di Dio. Dalle sue mani una settimana prima di morire una lezione di fiducia: “Nella calma e nell’abbandono sta la nostra forza” e con queste parole tratte dal libro del profeta Isaia voleva rassicurare tutti noi.
Per quanto socievolissima era un tipo che amava molto anche la solitudine. Era una persona scomoda e… scomodante: aveva preso sul serio le parole del Vangelo e l’ideale della chiamata alla santità che aveva raccolto a piene mani da Padre Guglielmo, Guglielmo Giaquinta, il suo fondatore.
In un articolo scritto per la rivista “il massimalismo” in occasione di una Giornata della Santificazione Universale così scriveva:
Sembra una cosa superflua, la santità, ed è invece l’essenziale, il senso nascosto più vero ed autentico del nostro vivere quotidiano.
Basta cambiare prospettiva: non vivere più solo per se stessi, per la famiglia, per il lavoro, per avere un posto al sole in questa società ma prima di tutto scoprire che Dio è Amore, che Lui ti ama infinitamente (ama te, proprio te!). Dal Signore sei chiamato a crescere ogni giorno di più nell’imparare ad amare, attraverso la preghiera e i sacramenti, perché tu diventi un segno splendente e luminoso del Suo Amore, con gesti concreti di santità e fraternità nella famiglia, sul posto di lavoro, in questa società. È la sfida più affascinante e moderna: potenziare nel bene tutte le tue capacità umane, spirituali e relazionali aiutando gli altri a fare altrettanto. La festa del 1° novembre ci invita proprio a guardare le splendide figure di tutti i Santi: uomini e donne che hanno gustato la loro esistenza in pienezza, senza mediocrità o tristezze umane.
Avremo, ciascuno di noi, il coraggio di accettare questa proposta di santità, di una vita da costruire originalmente, mettendo in pratica il Vangelo? Questo rivoluzionerebbe la nostra società, più di dieci governi con le relative opposizioni. Ma si sa, il Vangelo è scomodo.
Torniamo alle sue mani… strane, originali, di cui andava fierissima!
L’originalità che l’ha contraddistinta fino alla fine l’ha resa davvero “unica” nel suo modo di affrontare la vita… anche la malattia.
Mi piace tornare su come lei si raccontava:
Avevo una grande voglia di vivere. Avevo un intenso desiderio di non rendere stupida, vuota, inutile la mia esistenza, così precaria e breve (il problema della morte mi attanagliava il cuore di paura). Era come se avessi tante strade aperte davanti a me e di ognuna ne valutavo le bellezze e le difficoltà che supponevo comportasse la mia scelta precisa e specifica. Ma, in fondo, era bello e comodo continuare a vivere felicemente e irresponsabilmente, rimandando il problema. Pensavo: “Sono troppo giovane, ho tempo, poi le cose vengono da sole e si risolvono quasi come in un sogno”. (…) Guardavo mio padre e mia madre e al di là del fatto che volevo e voglio loro un bene immenso e ringrazio Dio perché sono genitori stupendi, eppure dentro di me dicevo: “La mia famiglia sarà diversa, non farò i loro errori, farò questo e questo…”. Guardavo i preti e le suore della mia parrocchia, le loro stanchezze e debolezze e pensavo: “Non mi farò mai suora”. Mi dava un senso di chiuso… In questa incertezza che mi affaticava il cuore, ma lo dilatava anche per accogliere la speranza di un domani migliore, la prima esperienza “amorosa” con un ragazzo. Amare e sentirsi amata, credo sia la cosa più bella di questo mondo. Eppure mi lasciava dentro un senso di disagio, di vuoto, di solitudine, di attesa. Non mi bastava, volevo di più. Conobbi un gruppo di gente che parlava di santità. In un primo momento li considerai dei pazzi un po’ esagerati. Poi mi sono chiesta: “Ma non è questo ciò che hai sempre desiderato? Fare una vita che non fosse scontata, già indirizzata su binari determinati: le cose di famiglia, i parenti, la comitiva, la ricerca di soldi, del lavoro, del divertimento, delle vacanze, di essere accettata e non messa da parte dalla società…”. Ed invece la santità era un progetto originale, non prefabbricato, che mi chiedeva collaborazione, inventiva, perché Dio con la sua santità aveva letteralmente invaso ogni angolo, ogni piega del mio essere ed agire…. Cominciai a parlare agli altri di questa mia scoperta sensazionale: siamo tutti, e dico tutti, chiamati alla santità. Vedevo facce allibite, alle volte di scherno e alle volte di simpatia, certo era una idea e una proposta non dico stramba, ma quasi. Eppure era il Vangelo: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro nei cieli”. Tutta questa santità si scontrava con i miei peccati, la pigrizia, l’abitudine ad accontentarsi del poco, del più facile, del gratificante ed egoistico “pensa ai fatti tuoi, a ciò che ti conviene e non lasciare che Dio e gli altri diventino padroni esigenti della tua vita”. Ad un certo punto capii che non mi bastava più fare apostolato, ma volevo essere apostolica, un’oblata apostolica. Non dare solo il tempo e la disponibilità che mi restavano oltre la scuola, la famiglia, gli impegni, gli amici, ma dentro di me si faceva strada la bruciante esigenza di dare tutto perché gli altri avessero la vita, una speranza nella vita, una speranza che porta il nome di santità…
Da allora sono passati 13 anni: come consacrata laica, oblata apostolica ho conosciuto tante famiglie, parrocchie, sacerdoti, giovani, bambini e con tutti ho condiviso la gioia e la fatica di credere, amare, sperare in Dio, fonte di ogni santificazione offrendo tutto il mio tempo, la mia disponibilità, il mio servizio apostolico. La Parola Santa di Gesù mi illumina: “Consacro me stesso, perché altri siano consacrati nella verità” (Gv 17, 19).
La sofferenza del mondo attende la mia generosità e di tante donne che, in uno sguardo prolungato al Crocifisso, donino liberamente e gratuitamente se stesse per la redenzione e santificazione di ogni uomo. Solo per amore. Questa è la mia vita.
L’originalità che l’ha contraddistinta fino alla fine l’ha resa davvero “unica” nel suo modo di affrontare la vita… anche la malattia.
Mi piace tornare su come lei si raccontava:
Avevo una grande voglia di vivere. Avevo un intenso desiderio di non rendere stupida, vuota, inutile la mia esistenza, così precaria e breve (il problema della morte mi attanagliava il cuore di paura). Era come se avessi tante strade aperte davanti a me e di ognuna ne valutavo le bellezze e le difficoltà che supponevo comportasse la mia scelta precisa e specifica. Ma, in fondo, era bello e comodo continuare a vivere felicemente e irresponsabilmente, rimandando il problema. Pensavo: “Sono troppo giovane, ho tempo, poi le cose vengono da sole e si risolvono quasi come in un sogno”. (…) Guardavo mio padre e mia madre e al di là del fatto che volevo e voglio loro un bene immenso e ringrazio Dio perché sono genitori stupendi, eppure dentro di me dicevo: “La mia famiglia sarà diversa, non farò i loro errori, farò questo e questo…”. Guardavo i preti e le suore della mia parrocchia, le loro stanchezze e debolezze e pensavo: “Non mi farò mai suora”. Mi dava un senso di chiuso… In questa incertezza che mi affaticava il cuore, ma lo dilatava anche per accogliere la speranza di un domani migliore, la prima esperienza “amorosa” con un ragazzo. Amare e sentirsi amata, credo sia la cosa più bella di questo mondo. Eppure mi lasciava dentro un senso di disagio, di vuoto, di solitudine, di attesa. Non mi bastava, volevo di più. Conobbi un gruppo di gente che parlava di santità. In un primo momento li considerai dei pazzi un po’ esagerati. Poi mi sono chiesta: “Ma non è questo ciò che hai sempre desiderato? Fare una vita che non fosse scontata, già indirizzata su binari determinati: le cose di famiglia, i parenti, la comitiva, la ricerca di soldi, del lavoro, del divertimento, delle vacanze, di essere accettata e non messa da parte dalla società…”. Ed invece la santità era un progetto originale, non prefabbricato, che mi chiedeva collaborazione, inventiva, perché Dio con la sua santità aveva letteralmente invaso ogni angolo, ogni piega del mio essere ed agire…. Cominciai a parlare agli altri di questa mia scoperta sensazionale: siamo tutti, e dico tutti, chiamati alla santità. Vedevo facce allibite, alle volte di scherno e alle volte di simpatia, certo era una idea e una proposta non dico stramba, ma quasi. Eppure era il Vangelo: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro nei cieli”. Tutta questa santità si scontrava con i miei peccati, la pigrizia, l’abitudine ad accontentarsi del poco, del più facile, del gratificante ed egoistico “pensa ai fatti tuoi, a ciò che ti conviene e non lasciare che Dio e gli altri diventino padroni esigenti della tua vita”. Ad un certo punto capii che non mi bastava più fare apostolato, ma volevo essere apostolica, un’oblata apostolica. Non dare solo il tempo e la disponibilità che mi restavano oltre la scuola, la famiglia, gli impegni, gli amici, ma dentro di me si faceva strada la bruciante esigenza di dare tutto perché gli altri avessero la vita, una speranza nella vita, una speranza che porta il nome di santità…
Da allora sono passati 13 anni: come consacrata laica, oblata apostolica ho conosciuto tante famiglie, parrocchie, sacerdoti, giovani, bambini e con tutti ho condiviso la gioia e la fatica di credere, amare, sperare in Dio, fonte di ogni santificazione offrendo tutto il mio tempo, la mia disponibilità, il mio servizio apostolico. La Parola Santa di Gesù mi illumina: “Consacro me stesso, perché altri siano consacrati nella verità” (Gv 17, 19).
La sofferenza del mondo attende la mia generosità e di tante donne che, in uno sguardo prolungato al Crocifisso, donino liberamente e gratuitamente se stesse per la redenzione e santificazione di ogni uomo. Solo per amore. Questa è la mia vita.
E arriviamo ad una conclusione: chi è dunque Graziella per me oggi? Un grembo della Chiesa: da lei più volte sono rinata alla Vita in Cristo. Mi ha fatto toccare da vicino la santità come desiderio bruciante, sete di Cristo e dei fratelli… che ti consuma la vita e te la rende feconda, contagiosa! Grazie a Dio per te, Graziella!
Come tu hai chiesto tre volte a Pietro: “Mi ami tu?” così, e perdona l’impudenza, io chiedo a Te: “Signore mi ami tu?” “Fammi umile, allora!”. “Signore mi ami tu?” “Fammi amare!”. “Signore mi ami tu?” “Fammi santa!”.
Giselda Toppetti
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