Il tema della Giornata della Santificazione Universale 2018 che guiderà il Movimento Pro Sanctitate nella riflessione del nuovo anno, Uno + uno: la santità è contagiosa, si offre come uno di quei temi rispetto ai quali sembra necessario spendere non tanto sapienza dottrinale, quanto piuttosto la disponibilità a far fiorire fino in fondo l’esperienza cristiana che ci ha irrimediabilmente “contagiati”, il “piano del domani” per usare le parole del nostro Fondatore, il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta.
Come un amore che inizia o la vita che nasce, l’incontro con Gesù ti esplode dentro e quello che eri, o credevi di essere, non è più sufficiente: lo “schemino” del buon cristiano si rompe a favore di qualcosa di gran lunga più importante.
“Il Vangelo usa il verbo «trahere», Dio ci attrae, che esprime in qualche modo l’azione calamitante di Dio che sta dentro di noi” (Guglielmo Giaquinta, La chiamata).
“Noi lo imitiamo male ma ininterrottamente. Penetriamo in lui, dissimili ma tenaci. Come non saremmo, almeno nella volontà, apostoli? Nella disponibilità di noi stessi missionari?” (Madeleine Delbrel, La Joie de Croire).
Questo “fuoco” che brucia dentro è “una felicità ineguagliabile, una felicità che una volta conosciuta da un punto di vista psicologico quasi si potrebbe dire di essere costretti a sceglierla tanto è vincolante la sua scelta” (Madeleine Delbrel, Ville marxiste terre de mission).
Questo “fuoco” alimenta una forma permanente di disponibilità verso gli altri per farli partecipi dell’amore di Gesù, spontaneamente, in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in strada.
Per dirla con le parole di Papa Francesco pronunciate in occasione di una Messa di ringraziamento per José de Anchieta, il gesuita spagnolo del Cinquecento che partì missionario in Brasile e che lo stesso Jorge Mario Bergoglio ha deciso di canonizzare nel 2014:
“La Chiesa non cresce con il proselitismo, si sviluppa per attrazione. L’attrazione testimonia questa gioia che annuncia Gesù Cristo. Questa testimonianza che nasce dalla gioia assunta e poi trasformata in annuncio è la gioia fondamentale. Senza questa gioia, non si può fondare una chiesa, una comunità cristiana. È una gioia apostolica che si espande”.
San José de Anchieta sapeva comunicare quello che aveva vissuto con il Signore, quello che aveva visto e udito. Arriva in Brasile il 13 giugno del 1553, a meno di 20 anni di età. “Tale era la gioia che aveva, che ha fondato una nazione, ha posto le basi culturali di una nazione, in Gesù Cristo. Non aveva studiato teologia, non aveva studiato filosofia, era un ragazzo, ma aveva sentito gli occhi di Gesù e scelto la luce. Questo era ed è la sua santità. Non ha avuto paura della gioia”.
Ci interroga il nostro Fondatore:
“…Cosa manca al tuo fratello? Cosa devi tu dargli?
Ha bisogno d’amore, a lui manca la gioia, sente il vuoto di Dio:
dagli tu queste cose”. (Guglielmo Giaquinta, Cosa manca al tuo fratello)
Come un amore che inizia o la vita che nasce, l’incontro con Gesù ti esplode dentro e quello che eri, o credevi di essere, non è più sufficiente: lo “schemino” del buon cristiano si rompe a favore di qualcosa di gran lunga più importante.
“Il Vangelo usa il verbo «trahere», Dio ci attrae, che esprime in qualche modo l’azione calamitante di Dio che sta dentro di noi” (Guglielmo Giaquinta, La chiamata).
“Noi lo imitiamo male ma ininterrottamente. Penetriamo in lui, dissimili ma tenaci. Come non saremmo, almeno nella volontà, apostoli? Nella disponibilità di noi stessi missionari?” (Madeleine Delbrel, La Joie de Croire).
Questo “fuoco” che brucia dentro è “una felicità ineguagliabile, una felicità che una volta conosciuta da un punto di vista psicologico quasi si potrebbe dire di essere costretti a sceglierla tanto è vincolante la sua scelta” (Madeleine Delbrel, Ville marxiste terre de mission).
Questo “fuoco” alimenta una forma permanente di disponibilità verso gli altri per farli partecipi dell’amore di Gesù, spontaneamente, in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in strada.
Per dirla con le parole di Papa Francesco pronunciate in occasione di una Messa di ringraziamento per José de Anchieta, il gesuita spagnolo del Cinquecento che partì missionario in Brasile e che lo stesso Jorge Mario Bergoglio ha deciso di canonizzare nel 2014:
“La Chiesa non cresce con il proselitismo, si sviluppa per attrazione. L’attrazione testimonia questa gioia che annuncia Gesù Cristo. Questa testimonianza che nasce dalla gioia assunta e poi trasformata in annuncio è la gioia fondamentale. Senza questa gioia, non si può fondare una chiesa, una comunità cristiana. È una gioia apostolica che si espande”.
San José de Anchieta sapeva comunicare quello che aveva vissuto con il Signore, quello che aveva visto e udito. Arriva in Brasile il 13 giugno del 1553, a meno di 20 anni di età. “Tale era la gioia che aveva, che ha fondato una nazione, ha posto le basi culturali di una nazione, in Gesù Cristo. Non aveva studiato teologia, non aveva studiato filosofia, era un ragazzo, ma aveva sentito gli occhi di Gesù e scelto la luce. Questo era ed è la sua santità. Non ha avuto paura della gioia”.
Ci interroga il nostro Fondatore:
“…Cosa manca al tuo fratello? Cosa devi tu dargli?
Ha bisogno d’amore, a lui manca la gioia, sente il vuoto di Dio:
dagli tu queste cose”. (Guglielmo Giaquinta, Cosa manca al tuo fratello)
Il tema “Uno + uno. La santità è contagiosa” si presta dunque ad una prima considerazione: la gioia cristiana è la radice di un incontro, deriva dall’aver scoperto che da quella vita nuova non te ne puoi più andare e che il segreto del Vangelo non è curiosità o un’iniziazione intellettuale, è essenzialmente una comunicazione di vita. La luce della fede non è un proiettore che illumina dall’esterno ma è un fuoco, dentro.
“Ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale, che si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. È una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani”. (Gaudete et Exsultate, 125)
“Ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale, che si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. È una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani”. (Gaudete et Exsultate, 125)
Quali elementi rendono santa e contagiosa una comunità di fede?
La carità, innanzitutto, come ci ricorda il nostro Fondatore.
“La virtù della carità è un habitus che prende possesso di noi nel rapporto concreto con gli altri. Questi altri sono in primo luogo coloro che ci sono attorno, poi i meno vicini, poi quanti sono oggetto del nostro apostolato. È evidente che sarebbe assurdo parlare di carità e usarla solo con gli altri, essere donativi con gli altri ma non con chi ci sta accanto… C’è da dire che di strade ce ne sono tante e tutte valide e che non esiste tra queste la più importante o la principale perché ogni strada voluta da Dio è una strada non solo buona ma ottima per diventare santi. La storia della Chiesa è la storia delle varie strade…” (Guglielmo Giaquinta, La santità).
Sulla vita nelle nostre comunità ci poniamo diversi interrogativi: sono in pace o divise? Danno testimonianza della gioia della Risurrezione? Hanno cura dei poveri e sono povere e accoglienti?
Guglielmo Giaquinta ci interroga sulla qualità dei nostri incontri: “La socialità non si esaurisce nell’annuncio del messaggio ma deve portare, quando sia possibile, a una continuazione e a uno sviluppo graduale del contatto. Accanto alla socialità si richiede la cura dei rapporti sociali. Quante persone sono passate accanto a noi, ci hanno sorriso, forse anche aiutato e poi sono scomparse nel nulla perché non le abbiamo né curate, né cercate. L’attenzione a questi, che forse sono stati gli amici di un’ora, avrebbe potuto ampliare e rafforzare la nostra area di influenza.” (da La Formazione nel Movimento Pro Sanctitate).
C’è una “predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. È l’annuncio che si condivide con un atteggiamento umile e testimoniale di chi sa sempre imparare, con la consapevolezza che il messaggio è tanto ricco e tanto profondo che ci supera sempre. A volte si esprime in maniera più diretta, altre volte attraverso una testimonianza personale, un racconto, un gesto, o la forma che lo stesso Spirito Santo può suscitare in una circostanza concreta… Non si deve pensare che l’annuncio evangelico sia da trasmettere sempre con determinate formule stabilite, o con parole precise che esprimano un contenuto assolutamente invariabile. Si trasmette in forme così diverse che sarebbe impossibile descriverle o catalogarle, e nelle quali il Popolo di Dio, con i suoi innumerevoli gesti e segni, è soggetto collettivo.” (Evangelii Gaudium 127-128).
È necessario aprire una riflessione sulla necessità di un profondo rinnovamento missionario: moltiplicare la possibilità di gioire e sostenersi, condividere Eucaristia e Parola, sapersi prendere cura degli altri e farlo con l’attenzione anche ai piccoli particolari, ai problemi, anche i più piccoli, come scrive il Papa nella Gaudete et Exsultate.
In questo modo la comunità si trasforma in comunità santa e missionaria: «La santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo» (Gaudete et Exsultate 129).
È lasciarsi guidare dallo Spirito Santo che conduce su strade sempre diverse e dona il coraggio di ricominciare e ripartire, andare avanti accogliendo le magnifiche sorprese del Signore.
È urgente, sembra volerci suggerire il nostro Fondatore, per noi Padre Guglielmo.
La carità, innanzitutto, come ci ricorda il nostro Fondatore.
“La virtù della carità è un habitus che prende possesso di noi nel rapporto concreto con gli altri. Questi altri sono in primo luogo coloro che ci sono attorno, poi i meno vicini, poi quanti sono oggetto del nostro apostolato. È evidente che sarebbe assurdo parlare di carità e usarla solo con gli altri, essere donativi con gli altri ma non con chi ci sta accanto… C’è da dire che di strade ce ne sono tante e tutte valide e che non esiste tra queste la più importante o la principale perché ogni strada voluta da Dio è una strada non solo buona ma ottima per diventare santi. La storia della Chiesa è la storia delle varie strade…” (Guglielmo Giaquinta, La santità).
Sulla vita nelle nostre comunità ci poniamo diversi interrogativi: sono in pace o divise? Danno testimonianza della gioia della Risurrezione? Hanno cura dei poveri e sono povere e accoglienti?
Guglielmo Giaquinta ci interroga sulla qualità dei nostri incontri: “La socialità non si esaurisce nell’annuncio del messaggio ma deve portare, quando sia possibile, a una continuazione e a uno sviluppo graduale del contatto. Accanto alla socialità si richiede la cura dei rapporti sociali. Quante persone sono passate accanto a noi, ci hanno sorriso, forse anche aiutato e poi sono scomparse nel nulla perché non le abbiamo né curate, né cercate. L’attenzione a questi, che forse sono stati gli amici di un’ora, avrebbe potuto ampliare e rafforzare la nostra area di influenza.” (da La Formazione nel Movimento Pro Sanctitate).
C’è una “predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. È l’annuncio che si condivide con un atteggiamento umile e testimoniale di chi sa sempre imparare, con la consapevolezza che il messaggio è tanto ricco e tanto profondo che ci supera sempre. A volte si esprime in maniera più diretta, altre volte attraverso una testimonianza personale, un racconto, un gesto, o la forma che lo stesso Spirito Santo può suscitare in una circostanza concreta… Non si deve pensare che l’annuncio evangelico sia da trasmettere sempre con determinate formule stabilite, o con parole precise che esprimano un contenuto assolutamente invariabile. Si trasmette in forme così diverse che sarebbe impossibile descriverle o catalogarle, e nelle quali il Popolo di Dio, con i suoi innumerevoli gesti e segni, è soggetto collettivo.” (Evangelii Gaudium 127-128).
È necessario aprire una riflessione sulla necessità di un profondo rinnovamento missionario: moltiplicare la possibilità di gioire e sostenersi, condividere Eucaristia e Parola, sapersi prendere cura degli altri e farlo con l’attenzione anche ai piccoli particolari, ai problemi, anche i più piccoli, come scrive il Papa nella Gaudete et Exsultate.
In questo modo la comunità si trasforma in comunità santa e missionaria: «La santità è parresia: è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo» (Gaudete et Exsultate 129).
È lasciarsi guidare dallo Spirito Santo che conduce su strade sempre diverse e dona il coraggio di ricominciare e ripartire, andare avanti accogliendo le magnifiche sorprese del Signore.
È urgente, sembra volerci suggerire il nostro Fondatore, per noi Padre Guglielmo.
Nicoletta Sechi
Direttrice nazionale del Movimento Pro Sanctitate
Direttrice nazionale del Movimento Pro Sanctitate
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