Per questo numero di luglio – agosto, sempre con la promessa di tornarci sopra con ulteriori approfondimenti, Aggancio ha scelto di rivolgere alcune domande sulla Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate di Papa Francesco al suo Consulente Ecclesiale Nazionale S. E. Mons. Salvatore di Cristina, arcivescovo emerito di Monreale (Pa).
1. Attraverso l’Esortazione Gaudete et exsultate, Papa Francesco si propone di far risuonare e di incarnare nel contesto attuale, la chiamata alla santità, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Che cosa significa essere santi oggi? Come vivere questa santità “della porta accanto”, dei “piccoli passi”?
L’attuale tempo della Chiesa cattolica si sta caratterizzando per l’elevato numero di nuovi santi e beati canonizzati e, ancor più, per l’insolita varietà dei loro profili personali, forme di vita e appartenenze geo-culturali, che li fa apparire veramente e largamente rappresentativi di quell’insieme variegato e magnifico che è il popolo di Dio.
Il fenomeno fa pensare a una promettente e, sotto altri aspetti, sorprendente ripresa primaverile della fede cristiana. Nello stesso tempo esso dà concretezza all’universalità della divina chiamata alla santità, a suo tempo dichiarata dal Concilio Vaticano II; una concretezza di cui tutti i credenti sentono bisogno. A questo stesso bisogno di concretezza risponde ora, con l’amabile tempestività che gli è propria, Papa Francesco attraverso la sua Esortazione. E lo fa insistendo soprattutto sui percorsi “feriali” della santità e sulla semplicità e chiarezza delle sue esigenze, tra le quali non figura certo la necessità che a praticarla siano personalità eccezionali o superdotate, quanto piuttosto uomini e donne onestamente disponibili alla grazia di Dio, mai del resto negata da Lui ai suoi figli.
Il fenomeno fa pensare a una promettente e, sotto altri aspetti, sorprendente ripresa primaverile della fede cristiana. Nello stesso tempo esso dà concretezza all’universalità della divina chiamata alla santità, a suo tempo dichiarata dal Concilio Vaticano II; una concretezza di cui tutti i credenti sentono bisogno. A questo stesso bisogno di concretezza risponde ora, con l’amabile tempestività che gli è propria, Papa Francesco attraverso la sua Esortazione. E lo fa insistendo soprattutto sui percorsi “feriali” della santità e sulla semplicità e chiarezza delle sue esigenze, tra le quali non figura certo la necessità che a praticarla siano personalità eccezionali o superdotate, quanto piuttosto uomini e donne onestamente disponibili alla grazia di Dio, mai del resto negata da Lui ai suoi figli.
2. Nel secondo capitolo dell’Esortazione, il Papa indica nello gnosticismo e nel pelagianesimo due nemici che possono falsificare il percorso di santità. Come riconoscerli nella nostra vita? Come affrontarli?
Neo-gnosticismo e neo-pelagianesimo (il Papa li chiama anche gnosticismo e pelagianesimo “attuali”) fanno riferimento a due antiche rappresentazioni della chiesa e/o del mistero della Salvezza. Si riconoscono: il primo, per una spiccata tendenza a considerare l’appartenenza alla Chiesa e, conseguentemente, la salvezza e l’autentico progresso spirituale, come dipendenti in misura decisiva dalla comprensione intellettuale della sua dottrina (dogmi, insegnamento morale, spiritualità ecc.); il secondo, per la tendenza a esagerare il valore dell’impegno personale (morale ascetico, spirituale ecc.) ai fini del buon esito del cammino di perfezione cristiana, arrivando a mettere in secondo piano – o a trascurare affatto – la funzione decisiva della Grazia.
Nell’uno e nell’altro caso si ha a che fare con l’autoesaltazione e l’autosufficienza, con persone portate a costituirsi in gruppi ecclesiali elitari, tendenzialmente chiuse e poco disposte all’accoglienza degli “ignoranti” (vale principalmente per i neo-gnostici) e alla misericordia (vale principalmente per i neo-pelagiani).
Quanto alla domanda su “come affrontarli”, immagino che essa non tende a sapere come combattere le persone affette da questi due atteggiamenti devianti, quanto piuttosto come correggere in sé stessi eventuali sintomi delle due devianze. In questo caso mi permetterei di suggerire, come primo rimedio, di non escludere a priori tale eventualità, ritenendo affatto improbabile che possa riguardarci. Un buon discernimento alla presenza di Dio – come suggerisce il Papa nell’Esortazione – potrebbe invece farcene scoprire sintomi più o meno pericolosi e aiutarci ad adottare nei loro confronti i rimedi corrispondenti.
Esistono purtroppo anche le devianze opposte al neo-gnosticismo e al neo-pelagianesimo. Mi riferisco al rifiuto sistematico (una specie di accidia) di procurarsi una conoscenza della fede proporzionata al proprio livello culturale e al quietismo di chi si aspetta che la santità debba fiorire spontaneamente senza vero impegno personale. È ovvio che ci si debba guardare pure da questi due pericoli. L’aspetto più insidioso di essi, frequente specialmente nel secondo, è la tentazione a rinviare all’infinito la decisione di mettersi in cammino.
Nell’uno e nell’altro caso si ha a che fare con l’autoesaltazione e l’autosufficienza, con persone portate a costituirsi in gruppi ecclesiali elitari, tendenzialmente chiuse e poco disposte all’accoglienza degli “ignoranti” (vale principalmente per i neo-gnostici) e alla misericordia (vale principalmente per i neo-pelagiani).
Quanto alla domanda su “come affrontarli”, immagino che essa non tende a sapere come combattere le persone affette da questi due atteggiamenti devianti, quanto piuttosto come correggere in sé stessi eventuali sintomi delle due devianze. In questo caso mi permetterei di suggerire, come primo rimedio, di non escludere a priori tale eventualità, ritenendo affatto improbabile che possa riguardarci. Un buon discernimento alla presenza di Dio – come suggerisce il Papa nell’Esortazione – potrebbe invece farcene scoprire sintomi più o meno pericolosi e aiutarci ad adottare nei loro confronti i rimedi corrispondenti.
Esistono purtroppo anche le devianze opposte al neo-gnosticismo e al neo-pelagianesimo. Mi riferisco al rifiuto sistematico (una specie di accidia) di procurarsi una conoscenza della fede proporzionata al proprio livello culturale e al quietismo di chi si aspetta che la santità debba fiorire spontaneamente senza vero impegno personale. È ovvio che ci si debba guardare pure da questi due pericoli. L’aspetto più insidioso di essi, frequente specialmente nel secondo, è la tentazione a rinviare all’infinito la decisione di mettersi in cammino.
3. Cuore dell’Esortazione sono le Beatitudini, Francesco ci aiuta a comprendere come queste si realizzano nel rapporto con gli altri. Seguendo il protocollo della carità, ognuno a suo modo è chiamato a mettere in pratica l’unico comandamento dell’Amore. È questa la strada per “far trasparire nella quotidianità della nostra vita il volto del Maestro”?
Sì. Ed è anche la strada maestra della santificazione personale, l’unica in grado di garantirne l’autenticità. Il santo Padre ci ha offerto nel terzo capitolo dell’Esortazione – il cuore di essa, come giustamente osservato – un’interpretazione sotto diversi aspetti originale. Originale è anzitutto la presentazione stessa delle Beatitudini, da secoli indicate come la magna charta del cristianesimo (più rigorosamente, i Padri leggevano nelle singole Beatitudini altrettanti solenni predicati dello stesso Gesù). Il Papa rileva da esse la “carta d’identità” del cristiano, una definizione che è doppiamente tipica dell’espressivo linguaggio di Papa Francesco: e per l’uso del termine “carta d’identità”, immediatamente percepibile e memorizzabile, e per la capacità che ha questa immagine della “carta d’identità del cristiano” di personalizzare il messaggio, capacità esclusa dall’astrattezza della “magna carta del cristianesimo”.
Originale è anche la correlazione che il Papa stabilisce tra le Beatitudini e la grande rappresentazione del Giudizio Universale, tratte ambedue dal vangelo di Matteo. Per Papa Francesco questa seconda rappresentazione conferisce ulteriore concretezza all’insegnamento delle Beatitudini: se tocca a queste delineare l’identità del cristiano, all’insegnamento derivante dal Giudizio universale tocca tracciare il “protocollo” del suo comportamento etico-spirituale. Per dirla con gli psicologi, mentre le Beatitudini rilevano l’atteggiamento del cristiano come tale, le motivazioni adoperate dal divino Giudice per la sua sentenza finale prescrivono i modelli normativi del suo comportamento: meglio ancora, gli atti concreti di amore in grado di tradurre in prassi l’identikit spirituale delle Beatitudini.
Al di fuori di questo tracciato di santità per il Papa c’è solo spazio per la mediocrità di un verticalismo spirituale che pretenderà di risolvere il cammino di santificazione in un rapporto elettivo con Dio, ingenuo quanto presuntuoso e comunque sterile, perché incapace di includere il prossimo nel circuito d’amore. A proposito di tale verticalismo spirituale il Papa parla dei cristiani paghi di “lustrarsi gli occhi di falsa contemplazione”. Oppure ci sarà spazio per l’orizzontalismo di una “carità” disinserita dal rapporto sponsale della Chiesa con il suo Signore.
È infatti impensabile che si possa considerare cristiano un impegno caritatevole vissuto al di fuori dell’esperienza di preghiera propria del culto specialmente liturgico della Chiesa. Il Papa infine non manca di denunziare casi ancora peggiori di rifiuto volontario del cammino di santità, indicandoli tra le varie forme di appropriazione indebita del “nome cristiano”, talora anche finalizzate a procacciare vantaggi mondani (“cristiani di comodo”), o più semplicemente tra i tanti che si accontentano di essere solo “cristiani di facciata”.
Originale è anche la correlazione che il Papa stabilisce tra le Beatitudini e la grande rappresentazione del Giudizio Universale, tratte ambedue dal vangelo di Matteo. Per Papa Francesco questa seconda rappresentazione conferisce ulteriore concretezza all’insegnamento delle Beatitudini: se tocca a queste delineare l’identità del cristiano, all’insegnamento derivante dal Giudizio universale tocca tracciare il “protocollo” del suo comportamento etico-spirituale. Per dirla con gli psicologi, mentre le Beatitudini rilevano l’atteggiamento del cristiano come tale, le motivazioni adoperate dal divino Giudice per la sua sentenza finale prescrivono i modelli normativi del suo comportamento: meglio ancora, gli atti concreti di amore in grado di tradurre in prassi l’identikit spirituale delle Beatitudini.
Al di fuori di questo tracciato di santità per il Papa c’è solo spazio per la mediocrità di un verticalismo spirituale che pretenderà di risolvere il cammino di santificazione in un rapporto elettivo con Dio, ingenuo quanto presuntuoso e comunque sterile, perché incapace di includere il prossimo nel circuito d’amore. A proposito di tale verticalismo spirituale il Papa parla dei cristiani paghi di “lustrarsi gli occhi di falsa contemplazione”. Oppure ci sarà spazio per l’orizzontalismo di una “carità” disinserita dal rapporto sponsale della Chiesa con il suo Signore.
È infatti impensabile che si possa considerare cristiano un impegno caritatevole vissuto al di fuori dell’esperienza di preghiera propria del culto specialmente liturgico della Chiesa. Il Papa infine non manca di denunziare casi ancora peggiori di rifiuto volontario del cammino di santità, indicandoli tra le varie forme di appropriazione indebita del “nome cristiano”, talora anche finalizzate a procacciare vantaggi mondani (“cristiani di comodo”), o più semplicemente tra i tanti che si accontentano di essere solo “cristiani di facciata”.
4. Papa Francesco, in risposta “ai rischi e ai limiti della cultura di oggi”, indica alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale. Anche Monsignor Giaquinta nel libro “La santità”, aveva parlato delle caratteristiche del santo di oggi, molti sono i punti in comune, per esempio entrambi sottolineano la gioia. Perché la gioia è così importante nel cammino di santità?
Un adagio praticato dagli antichi maestri di spirito recitava: «Un santo triste è… un triste santo!». Papa Francesco invece ha fatto della “gioia” un tema centrale del suo magistero, a cominciare dagli incipit (le parole inziali) dei documenti più importanti di esso. La nostra Esortazione non fa per niente eccezione. Il motivo di questa scelta è radicato sulla caratteristica fondamentale del Vangelo, quella di essere costituzionalmente un “lieto annuncio”: il lieto annuncio della Salvezza. È l’intera tradizione biblica a presentare in questa chiave e dentro questa prospettiva di gioia la volontà divina della nostra Salvezza.
Se poi pensiamo che per “salvezza”, nel suo significato strettamente biblico, Dio intende il realizzarsi del destino dei suoi figli amati, ossia il pieno compiersi in noi del progetto di bene che Egli stesso, creandoci, ha per ciascuno di noi, appare chiaro che questo progetto salvifico coincide essenzialmente con la nostra personale originalissima santità, intendendo essa sia nella sua dimensione temporale-mondana sia in quella eterna.
È il caso di chiedersi se potrà mai esserci per ognuno di noi una prospettiva più gioiosamente beatificante di questa? E stiamo parlando di una gioia che, come appena accennato, ha, oltre alla sua dimensione eterna (la “vita beata” di sant’Agostino), anche la dimensione temporale-mondana del nostro oggi: la gioia donata a chi, raggiunto dal lieto annuncio, se n’è appropriato e su di esso ogni giorno “ricomincia” a modellare la propria vita con la grazia e sull’esempio di colui che è la realizzazione piena del progetto salvifico di Dio, Gesù Cristo nostro fratello e Signore, il Santo di Dio.
Chi vive così fa della propria vita un inno alla felicità. Il messaggio delle Beatitudini infatti non si limita a rinviare alla Pasqua eterna la felicità. Ognuno di quei “beati” (cioè “felici”, dice il Papa) comincia a valere già dall’ascolto che ne facciamo oggi. E chi fa della propria vita un dono, secondo lo spirito di ciò che il Papa chiama il “protocollo della santità cristiana”, ha la grazia di sentire già, rivolto a sé, il “venite, benedetti” del Giudice futuro. Perché, come dice il Signore, “si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20, 35). E chi vive già oggi, nonostante le contraddizioni e prove dell’oggi, con questa iniziale beatitudine, ne sarà, anche senza saperlo, diffusore nel suo mondo e nel suo tempo. In una delle ore supreme della sua esistenza terrena Gesù dichiarò di sé: «Sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia». Non voleva forse Egli, nel dare la sua gioia ai suoi discepoli, che essi se ne facessero anche ministri per il mondo? Altrimenti, come avrebbe potuto dire Paolo di sé e dei suoi colleghi di missione che erano “i collaboratori della gioia” dei loro destinatari (cfr. 2Cor 1, 24)?
Se poi pensiamo che per “salvezza”, nel suo significato strettamente biblico, Dio intende il realizzarsi del destino dei suoi figli amati, ossia il pieno compiersi in noi del progetto di bene che Egli stesso, creandoci, ha per ciascuno di noi, appare chiaro che questo progetto salvifico coincide essenzialmente con la nostra personale originalissima santità, intendendo essa sia nella sua dimensione temporale-mondana sia in quella eterna.
È il caso di chiedersi se potrà mai esserci per ognuno di noi una prospettiva più gioiosamente beatificante di questa? E stiamo parlando di una gioia che, come appena accennato, ha, oltre alla sua dimensione eterna (la “vita beata” di sant’Agostino), anche la dimensione temporale-mondana del nostro oggi: la gioia donata a chi, raggiunto dal lieto annuncio, se n’è appropriato e su di esso ogni giorno “ricomincia” a modellare la propria vita con la grazia e sull’esempio di colui che è la realizzazione piena del progetto salvifico di Dio, Gesù Cristo nostro fratello e Signore, il Santo di Dio.
Chi vive così fa della propria vita un inno alla felicità. Il messaggio delle Beatitudini infatti non si limita a rinviare alla Pasqua eterna la felicità. Ognuno di quei “beati” (cioè “felici”, dice il Papa) comincia a valere già dall’ascolto che ne facciamo oggi. E chi fa della propria vita un dono, secondo lo spirito di ciò che il Papa chiama il “protocollo della santità cristiana”, ha la grazia di sentire già, rivolto a sé, il “venite, benedetti” del Giudice futuro. Perché, come dice il Signore, “si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20, 35). E chi vive già oggi, nonostante le contraddizioni e prove dell’oggi, con questa iniziale beatitudine, ne sarà, anche senza saperlo, diffusore nel suo mondo e nel suo tempo. In una delle ore supreme della sua esistenza terrena Gesù dichiarò di sé: «Sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia». Non voleva forse Egli, nel dare la sua gioia ai suoi discepoli, che essi se ne facessero anche ministri per il mondo? Altrimenti, come avrebbe potuto dire Paolo di sé e dei suoi colleghi di missione che erano “i collaboratori della gioia” dei loro destinatari (cfr. 2Cor 1, 24)?
5. Senza dubbio, l’Esortazione è una preziosa conferma dell’intuizione profetica del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta e della missione del Movimento Pro Sanctitate da lui fondato. Al tempo stesso, è portatrice di una freschezza di cui anche il Movimento è chiamato a fare tesoro. Quali stimoli può offrire all’attualizzazione del carisma “pro sanctitate”? Quali cambiamenti invita a intraprendere sul piano della formazione, dell’accompagnamento, del linguaggio, dell’annuncio della chiamata di tutti alla santità?
C’è un punto dell’Esortazione nel quale il Papa sembra esprimere con sintesi fortemente pregnante il programma di vita cristiana e l’annuncio missionario su cui, come su unico pilastro, poggia il Movimento Pro Sanctitate. È il n. 19 del capitolo primo: Per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità, perché «questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione (1Ts 4, 3). Ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo. Per Papa Francesco il “cammino di santità”, anzi – agli occhi antiveggenti di Dio – “ogni santo”, ancora nel suo cammino terreno, è “una missione”. La freschezza accennata nella domanda si coglie specialmente nella novità del linguaggio e delle fulminee immagini con cui il Santo Padre ridisegna la trama e l’ordito del fenomeno stesso della santità cristiana oggi in questo nostro mondo. È vero che il Movimento Pro Sanctitate patisce talora il pregiudizio di chi, conoscendone solo il nome, se lo figura come un gruppo elitario. Ma chi conosce il Movimento per quel che è, sa bene che questa patina pregiudiziale gli è assolutamente estranea. L’Esortazione potrà e dovrà in ogni caso fornire lo stimolo a tutti i membri e le strutture della famiglia Pro Sanctitate a incentivare con più forte motivazione e capacità inventiva la sua nativa propensione a “uscire”, come il Papa usa dire per definire la missione.
L’amore e la devozione per il proprio carisma saprà animarli a far sì che la sua bellezza e contagiosità si facciano strada soprattutto attraverso il loro concreto stile di vita. Se poi vogliamo parlare di rinnovamento del livello formativo Pro Sanctitate, più che a dei “cambiamenti”, amerei pensare a una sapiente e coraggiosa rilettura dei nostri schemi programmatici e del nostro metodo pedagogico nella luce (non solamente alla luce) di Gaudete et Exsultate. Come ben sappiamo, il nostro Fondatore fu anticipatore profetico del contenuto dottrinale di questa Esortazione Apostolica, come già del contenuto magisteriale di Lumen Gentium cap. V. Oggi all’intuizione profetica di Padre Guglielmo, come anche al magistero solenne del Concilio, l’Esortazione di Papa Francesco offre la possibilità di godere del fascino del suo autore e della immediata freschezza del suo linguaggio. Farne abbondantemente tesoro sarà la scelta più sapiente.
L’amore e la devozione per il proprio carisma saprà animarli a far sì che la sua bellezza e contagiosità si facciano strada soprattutto attraverso il loro concreto stile di vita. Se poi vogliamo parlare di rinnovamento del livello formativo Pro Sanctitate, più che a dei “cambiamenti”, amerei pensare a una sapiente e coraggiosa rilettura dei nostri schemi programmatici e del nostro metodo pedagogico nella luce (non solamente alla luce) di Gaudete et Exsultate. Come ben sappiamo, il nostro Fondatore fu anticipatore profetico del contenuto dottrinale di questa Esortazione Apostolica, come già del contenuto magisteriale di Lumen Gentium cap. V. Oggi all’intuizione profetica di Padre Guglielmo, come anche al magistero solenne del Concilio, l’Esortazione di Papa Francesco offre la possibilità di godere del fascino del suo autore e della immediata freschezza del suo linguaggio. Farne abbondantemente tesoro sarà la scelta più sapiente.
a cura di Alida Lo Scalzo
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