LUGLIO 2018
L’amore è rivoluzione è un testo del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta pubblicato nel 1973. In esso l’Autore raccoglie in un’unica sintesi il suo pensiero sulle radici più profonde della chiamata universale alla santità e sulle conseguenze operative che da essa derivano, rielaborando e rilanciando il suo pensiero e la sua spiritualità come il “grande messaggio attuale e universale della Chiesa al mondo moderno” (p. 12).
Nel brano proposto, Giaquinta indica la fraternità spirituale come la concretizzazione della carità; solo la carità può superare la giustizia e trasformare le strutture sociali.
Nel brano proposto, Giaquinta indica la fraternità spirituale come la concretizzazione della carità; solo la carità può superare la giustizia e trasformare le strutture sociali.
Gli uomini, anche solo perché fatti per convivere e tanto più perché creati da Dio, debbono rispettare e far rispettare il diritto naturale e, in primo luogo, la giustizia.
Quando poi si rifletta, in forma generica e non approfondita, che Cristo ci ha parlato di carità e ce ne ha dato l’esempio, viene spontaneo il pensare che accanto alla giustizia sia necessario fare uso anche della carità. Questa è la concezione corrente che sta al fondo della sociologia laica e spesso anche di quella cristiana.
Per essere esatti oggi si preferisce generalmente non fare ricorso alle soluzioni offerte dalla carità e risolvere tutto con la giustizia, che metterebbe gli uomini non su un piano di compassione, offerta o accettata, ma su posizioni di dignità.
In ogni caso, nelle ipotesi migliori, si accetta la carità come forma di equità o come correttivo delle eventuali imperfezioni derivanti dalla giustizia. Lo sforzo sociale delle organizzazioni sia laiche che cattoliche è tutto proteso al raggiungimento di questo traguardo: l’attuazione della giustizia sociale addolcita, nelle sue eventuali asprezze, dalla carità.
Riprendendo un tema già accennato sopra, noi ci chiediamo: una vera comunità di fratelli che devono amarsi in Cristo e camminare insieme verso la completezza dell’amore al Padre e cioè verso la santità, può contentarsi di questo? […]
La spiritualità sociale, partendo da queste basi conciliari e bibliche e da quelle teologiche che già conosciamo, fa un passo innanzi e si chiede: gli uomini non hanno realmente un Padre comune, Dio, un comune fratello, Cristo? Non devono camminare insieme verso il Padre, attuando in terra, fraternamente, quel compito che il Creatore ha loro affidato e Cristo ha santificato con il suo esempio? Non appartengono a una stessa famiglia spirituale? Non deve regnare in questa famiglia il senso dell’affetto intimo e profondo che gli antichi romani un tempo – e oggi gli autori spirituali – chiamavano «pietas»?
Non deve da tutto ciò nascere una autentica, sentita, concreta fraternità spirituale?
A questo proposito è opportuno approfondire la differenza tra la «carità» intesa nel senso ordinario della parola e la «fraternità spirituale» derivante dalla «pietas». Si tratta, nella fraternità spirituale, di portare alle sue ultime conseguenze il concetto di carità. Non di avere un qualche rapporto di amore verso il fratello, ma di amarlo con la misura massima voluta da Cristo; non di stabilire con lui il solo rapporto della carità-virtù, ma quello della carità animata dal dono dello Spirito Santo; non di vedere in lui, in genere, un cristiano, ma di sentirlo come autentico fratello e compagno nel cammino verso la perfezione.
Come la vita della grazia può avere vari gradi fino ad arrivare alla coscienza e allo sforzo verso la santità, così è possibile, per la dialettica del massimo, passare dalla carità alla fraternità spirituale.
La fraternità spirituale è dunque qualcosa di immensamente più grande e impegnativo della giustizia e della stessa carità qualora questa sia intesa come semplice beneficenza e come rapporto di distaccata generosità.
Tale fraternità nasce appunto dal fatto che siamo figli di uno stesso Padre, fratelli di uno stesso Cristo e che la nostra vocazione è quella di amare al massimo Dio e i fratelli. Dobbiamo saper essere coerenti con la dialettica del massimo.
Questo significa, concretamente, sforzarsi di dare il proprio contributo perché le condizioni sociologiche siano almeno tali da non ostacolare la formazione dello spirito di fraternità e la sua attuazione pratica.
Si tratta, in primo luogo, di fare una revisione generale di moltissimi concetti correnti per controllare se siano o no conformi alla fraternità spirituale. Proviamo ad affrontare certi argomenti e ci accorgeremo che noi ci troviamo qui dinanzi ad una autentica rivoluzione sociale da compiere pacificamente in nome della santità e cioè dell’amore fraterno e della sacralizzazione dei rapporti sociali. […]
Non possiamo pretendere di sovvertire la società, ma dobbiamo avere il coraggio di presentare a tutti l’immagine di ciò che dovrebbe essere il mondo della autentica fraternità e santità. Compito di un vero cristianesimo, come è quello di far conoscere la forma massima di amore verso Dio e cioè la santità, così è quello di far vivere la forma massima di amore verso i fratelli che deriva dalla vocazione alla santità e cioè la fraternità spirituale. Questa è la terza dimensione della santità.
È necessario prendere e far prendere coscienza di questa esigenza di totalità e suscitare quindi dappertutto un bisogno di generosa e profonda fraternità spirituale. Se tutti cominciassimo a credere a questi principi, a parlarne, a discuterne, a difenderli e a diffonderli con ogni mezzo, avremmo già fatto una azione lievitante di una importanza fondamentale.
Quando poi si rifletta, in forma generica e non approfondita, che Cristo ci ha parlato di carità e ce ne ha dato l’esempio, viene spontaneo il pensare che accanto alla giustizia sia necessario fare uso anche della carità. Questa è la concezione corrente che sta al fondo della sociologia laica e spesso anche di quella cristiana.
Per essere esatti oggi si preferisce generalmente non fare ricorso alle soluzioni offerte dalla carità e risolvere tutto con la giustizia, che metterebbe gli uomini non su un piano di compassione, offerta o accettata, ma su posizioni di dignità.
In ogni caso, nelle ipotesi migliori, si accetta la carità come forma di equità o come correttivo delle eventuali imperfezioni derivanti dalla giustizia. Lo sforzo sociale delle organizzazioni sia laiche che cattoliche è tutto proteso al raggiungimento di questo traguardo: l’attuazione della giustizia sociale addolcita, nelle sue eventuali asprezze, dalla carità.
Riprendendo un tema già accennato sopra, noi ci chiediamo: una vera comunità di fratelli che devono amarsi in Cristo e camminare insieme verso la completezza dell’amore al Padre e cioè verso la santità, può contentarsi di questo? […]
La spiritualità sociale, partendo da queste basi conciliari e bibliche e da quelle teologiche che già conosciamo, fa un passo innanzi e si chiede: gli uomini non hanno realmente un Padre comune, Dio, un comune fratello, Cristo? Non devono camminare insieme verso il Padre, attuando in terra, fraternamente, quel compito che il Creatore ha loro affidato e Cristo ha santificato con il suo esempio? Non appartengono a una stessa famiglia spirituale? Non deve regnare in questa famiglia il senso dell’affetto intimo e profondo che gli antichi romani un tempo – e oggi gli autori spirituali – chiamavano «pietas»?
Non deve da tutto ciò nascere una autentica, sentita, concreta fraternità spirituale?
A questo proposito è opportuno approfondire la differenza tra la «carità» intesa nel senso ordinario della parola e la «fraternità spirituale» derivante dalla «pietas». Si tratta, nella fraternità spirituale, di portare alle sue ultime conseguenze il concetto di carità. Non di avere un qualche rapporto di amore verso il fratello, ma di amarlo con la misura massima voluta da Cristo; non di stabilire con lui il solo rapporto della carità-virtù, ma quello della carità animata dal dono dello Spirito Santo; non di vedere in lui, in genere, un cristiano, ma di sentirlo come autentico fratello e compagno nel cammino verso la perfezione.
Come la vita della grazia può avere vari gradi fino ad arrivare alla coscienza e allo sforzo verso la santità, così è possibile, per la dialettica del massimo, passare dalla carità alla fraternità spirituale.
La fraternità spirituale è dunque qualcosa di immensamente più grande e impegnativo della giustizia e della stessa carità qualora questa sia intesa come semplice beneficenza e come rapporto di distaccata generosità.
Tale fraternità nasce appunto dal fatto che siamo figli di uno stesso Padre, fratelli di uno stesso Cristo e che la nostra vocazione è quella di amare al massimo Dio e i fratelli. Dobbiamo saper essere coerenti con la dialettica del massimo.
Questo significa, concretamente, sforzarsi di dare il proprio contributo perché le condizioni sociologiche siano almeno tali da non ostacolare la formazione dello spirito di fraternità e la sua attuazione pratica.
Si tratta, in primo luogo, di fare una revisione generale di moltissimi concetti correnti per controllare se siano o no conformi alla fraternità spirituale. Proviamo ad affrontare certi argomenti e ci accorgeremo che noi ci troviamo qui dinanzi ad una autentica rivoluzione sociale da compiere pacificamente in nome della santità e cioè dell’amore fraterno e della sacralizzazione dei rapporti sociali. […]
Non possiamo pretendere di sovvertire la società, ma dobbiamo avere il coraggio di presentare a tutti l’immagine di ciò che dovrebbe essere il mondo della autentica fraternità e santità. Compito di un vero cristianesimo, come è quello di far conoscere la forma massima di amore verso Dio e cioè la santità, così è quello di far vivere la forma massima di amore verso i fratelli che deriva dalla vocazione alla santità e cioè la fraternità spirituale. Questa è la terza dimensione della santità.
È necessario prendere e far prendere coscienza di questa esigenza di totalità e suscitare quindi dappertutto un bisogno di generosa e profonda fraternità spirituale. Se tutti cominciassimo a credere a questi principi, a parlarne, a discuterne, a difenderli e a diffonderli con ogni mezzo, avremmo già fatto una azione lievitante di una importanza fondamentale.
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