Ma che bella santa in controtendenza, verrebbe da dire. Si, perché la Santa Giuliana Falconieri, invocata contro il mal di stomaco e il vomito, che sarebbe vissuta a Firenze a cavallo fra il XIII e il XIV secolo, ritenuta fra i fondatori della “Mantellate” – il termine “Mantellate” si rifà alla “mantella”, nera nel caso delle “servite”, che indossavano le donne che si univano al Terz’Ordine dei Servi di Maria – ha una biografia, stando alle fonti comprese secondo una sensibilità storica moderna, alquanto incerta.
Una fonte molto tarda, cento e cinquanta anni dopo la sua morte, ne parla come di una nobildonna dell’illustre casato Falconieri, nipote di uno dei fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria. Sotto la sua influenza Giuliana, che viene descritta come molto bella, si dedica a pratiche di pietà e rifiuta importanti proposte di matrimonio. Dopo la morte della madre chiede di essere ammessa – avendo fino ad allora vissuto in famiglia la sua propria vocazione espressa dalla “mantella” – in qualità di domestica alla comunità delle mantellate che si riunisce presso la Chiesa dell’Annunciazione a Firenze: ma le altre donne insistettero che assumesse il ruolo di badessa. Vivono in contemplazione ed esercitano la carità, digiunano completamente il mercoledì e il venerdì di ogni settimana, il sabato si accontentano di pane ed acqua, tutti i giorni trascorrono la maggior parte del loro tempo nella preghiera e nella meditazione, in una Firenze che vive i drammatici scontri politici di quell’età connotati da profonde divisioni civili e umane. (Basti pensare a quanto si sa della vita di Dante, che è quasi un suo contemporaneo).
Se decisamente incerte appaiono le notizie sulla sua vita, ricco e documentato è invece il culto di questa santa, canonizzata nel 1737. In esso, si fa riferimento in special modo a due elementi: il culto di lei per l’Eucaristia e le meditazioni sul Giudizio Universale che l’avrebbero convertita secondo il suo tardo biografo. Per quanto riguarda l’Eucaristia si deve ricordare che, seconda la tradizione, alla santa, morente, fu deposto sul petto sopra un corporale il Santissimo che ella non poteva inghiottire a causa del suo male. Mentre ella spirava invocando il Salvatore, l’Ostia sarebbe improvvisamente sparita: e le suore, ricomponendone il corpo per la sepoltura, trovarono accanto al cuore un segno circolare quasi che il sacramento fosse entrato per quella via nel cuore stesso della santa. È il marchio che le Mantellate ancora oggi portano impresso sul loro abito religioso, a ricordo della miracolosa ultima “comunione” della loro fondatrice.
Ognuno può constatare, a proposito di quanto si diceva sopra, la presenza di tutta una serie di elementi che effettivamente la rendono controcorrente: la giovane nobile e bellissima “che si adornò non di vane doti o dell’approvazione dei mortali per la sua singolare bellezza, ma del merito della sua virtù vera nella quale pesso risiede il decoro e la gloria del successo. Tra l’altro, abbracciando la devozione della «vedovanza» della Santa Madre (Maria Addolorata: cioè, scegliendo la consacrazione verginale), ne vestì l’abito della salvezza”.
Si vuol dire che siamo in presenza di una sensibilità religiosa che può sembrare distante le mille miglia da quella oggi almeno apparentemente prevalente. Voti, verginità, meditazioni, preghiera, adorazione delle specie eucaristiche, sono tutte cose che sembrano molto lontane dal comportamento pratico e caritatevole del buon samaritano, che oggi viene indicato un po’ ossessivamente come l’unico modo di porsi in sequela Christi.
Giova intanto ricordare che la “mantella” di cui sarebbe stata rivestita Santa Giuliana si chiamava così proprio perché aveva le maniche corte (simili a mantelli) che lasciavano libere le mani per lavorare. Perché capita poi abbastanza spesso che i critici di un atteggiamento mistico, in favore dell’industriosità di Marta e dimentichi invece di Maria, si dimentichino spesso che preghiera e azione sono nutrimento l’una dell’altra.
Ma forse – e anche senza forse – non sarà male non lasciarsi troppo incantare da siffatte sirene fin troppo spesso pompate dai tanti ‘simpatizzanti’ del Gesù solo umano che allegramente negano la sua sostanza divina e il significato stesso dell’incarnazione. E nemmeno le incertezze storiografiche devono impedirci una sana riflessione sul messaggio che Santa Giuliana Falconieri trasmette a noi dal fondo di secoli ormai lontani: la centralità del rapporto con l’Eucaristia, che proprio all’inizio di questo mese di giugno viene celebrata nella Festa del Corpus Domini. E il profondo sentire che porta la santa e le sue compagne a vivere nel proprio corpo, con digiuni e astinenze, oltre che naturalmente con il voto di verginità, la sequela di Gesù; il quale nel proprio corpo, e con le piaghe di esso, ci ha guarito.
Il cristianesimo non è una filosofia e nemmeno una filosofia etica, un ‘sistema di valori’. È una fede nata intorno ad una Persona in carne ed ossa, e al suo singolare, specialissimo destino storico: reale. Ed è la narrazione e la ripresentazione di esso che l’Eucaristia è: con ciò fondando la comunità cristiana.
Serve quindi che quanto sappiamo di Santa Giuliana Falconieri ce lo ricordi? Serve eccome. Una generazione prima di lei viene scritto il canto liturgico del Pange Lingua, composto da San Tommaso d’Aquino su espressa richiesta di Papa Urbano IV. Ci piace concludere queste poche righe dedicate alla santa con un verso di esso: praestet fides suppleméntum sénsuum deféctui.
Alberto Hermanin
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