Inizia da questo numero un cammino di approfondimento del rapporto fra fede e cultura, avvertendo che il significato di entrambi i termini è piuttosto vasto e fluttuante. Se per il primo, fede, si assume qui evidentemente quello comune alla nostra professata fede cristiana, per il secondo si rimanda ai suoi molti significati reperibili in dizionari di buon livello, magari con particolare, ma non esclusiva attenzione a due significati in particolare: 1) L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità. 2) Complesso delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche, delle manifestazioni spirituali e religiose, che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico. (definizioni tratte da http://www.treccani.it/vocabolario/cultura/).
Abbiamo posto come icona di questa rubrica il ritratto di Blaise Pascal che si presta come pochi altri a rappresentare, nel dialogo fra fede e cultura, il centro di entrambe: l’uomo nella sua irriducibile unità.
Cominciamo il nostro cammino con il contributo di uno scienziato “puro” secondo la definizione che si trova nello stesso suo contributo, per il quale lo ringraziamo.
In questo breve testo, “fede” si riferisce prevalentemente, anche se non esclusivamente, alla fede cristiana cattolica, mentre “scienza” si riferisce alle cosiddette hard sciences (= scienze dure), vale a dire fisica, chimica, biologia, ecc., ma anche a matematica, informatica e discipline ingegneristiche.
Lo scopo del testo è quello di illustrare quattro possibili modalità con cui impostare il rapporto tra scienza e fede, esprimendo alcuni valutazioni su ognuna e la preferenza per una in particolare. È convinzione di chi scrive che una corretta modalità d’impostazione sia necessaria per il bene della società e della comunità cristiana.
Conflitto
Il primo modello postula una insanabile conflittualità tra la scienza e la fede.
Si presenta in due versioni apparentemente opposte: lo “scientismo” e il “fideismo”.
Lo scientismo è quell’atteggiamento per il quale:
la scienza può dare (e dà) risposte vere a tutti gli interrogativi umani rilevanti (sul mondo, sull’uomo stesso, etc.);
tutti gli altri interrogativi sono non scientifici e non rilevanti;
esiste una sola verità, quella scientifica.
Lo scientismo ha dominato per lunghi periodi nell’epoca recente, e ancora fa capolino talvolta sui media, sebbene la sua credibilità sia molta bassa non appena si conduca un’analisi seria del modo con cui di fatto operano gli scienziati. A tal riguardo si possono citare numerosi studi di storia e filosofia della scienza. Mi limito a segnalare quelli di Thomas Kuhn (1922-1996).2)
Il fideismo è quell’atteggiamento speculare per il quale, invece, la verità si trova solo nei testi sacri e la scienza non ha nulla da aggiungere. Si pensi al cosiddetto “creazionismo” (e alla sua più sofisticata versione chiamata “disegno intelligente”). Affine è anche l’inclinazione a cercare nel Creatore la spiegazione di quei fenomeni che la scienza non è (ancora?) in grado di spiegare; un Dio tappabuchi, insomma, continuamente in ritirata di fronte all’avanzare della conoscenza scientifica.
Mi sembra importante sottolineare che lo scientismo non ha nulla a che vedere con la scienza autentica: è una posizione filosofica e ideologica, non di rado sostenuta da persone di scarsa o nulla preparazione scientifica.
Anche il fideismo ha poco a vedere con una fede autentica. Anzi spesso sembra una specie di suo surrogato.
Integrazione
Un secondo modello di interazione postula una vera e propria integrazione tra la scienza e la fede, cercando analogie e somiglianze tra le due al fine di giustificare e rinforzare ambedue, in vista di un loro mutuo arricchimento.
Include ad esempio sofisticati tentativi per attribuire una credibilità scientifica (o addirittura una prova scientifica) per le verità di fede. Un caso emblematico è probabilmente l’equivoco che pone in relazione la Creazione con la teoria cosmologica del Big Bang.
Come è noto, la detta teoria vede l’origine del cosmo in un unico punto iniziale, da cui è “esploso” tutto l’universo. Formulata dal brillante astronomo belga George Lemaître (1894-1966), essa è stata spesso identificata con l’atto creativo di Dio, anche se Lemaître, un prete cattolico, si è sempre opposto a tale identificazione, osservando correttamente che la creazione si colloca in una dimensione che trascende il cosmo, mentre il Big Bang si colloca al suo interno.
È proprio questa differenza di ordine tra descrizione scientifica e rivelazione di fede che rende insostenibile il modello dell’integrazione, per quanto generose possano esserne le intenzioni.
Indipendenza
Il terzo modello di interazione che presento è quello della indipendenza assoluta tra scienza e fede, spesso noto con la sigla NOMA, dall’inglese Non-Overlapping Magisteria (= magisteri non sovrapposti).
Particolarmente promosso dal famoso biologo Stephen Jay Gould (1941-2002), il modello sostiene che scienza e fede sono completamente indipendenti perché hanno metodi (e risultati) differenti, con regioni di validità a intersezione vuota.
In tale modello certamente non possono esserci conflitti tra scienza e fede, ma l’interazione tra di esse è ridotta a mutua ignoranza e irrilevanza. Ora questo è chiaramente smentito, ad esempio, dalla inevitabile esistenza di assunti metafisici in ogni teoria scientifica (cfr. quel che Thomas Kuhn chiama il “paradigma” di una disciplina scientifica)3), ma soprattutto è innegabile una certa interconnessione tra scienza e fede dovuta al fatto che ambedue si occupano dell’esistenza e dell’attività degli esseri umani.
Dialogo
L’inadeguatezza delle modalità di conflitto, integrazione e indipendenza ci spinge verso la quarta modalità di interazione, quella da me preferita, e cioè la modalità del dialogo.
Ognuno dei due dialoganti ha i suoi propri metodi e le sue proprie aree di indagine, ma ambedue contribuiscono in modo complementare a una più adeguata comprensione della realtà in cui siamo immersi.4)
Naturalmente sorgono difficoltà quando desideriamo specificare come scienza e fede si complementino, dove si situino i confini dei loro domini, ecc.
Presento quindi una serie di fattori che possono creare (e/o di fatto hanno creato) problemi.
Fattori endogeni od oggettivi possono essere:
fraintendimenti più o meno intenzionali (ad esempio, sul linguaggio);
complessità effettiva delle questioni affrontate;
portato storico (con relativi elementi di conflittualità) di un passato nel quale c’era integrazione tra scienza, filosofia e teologia.
I relativi problemi sono reali, ma si può sperare di risolverli, almeno parzialmente, mediante un sereno confronto di argomenti.
Tuttavia tale sereno confronto è talora ostacolato da altri fattori più o meno confessati, di natura esogena o soggettiva, quali ad esempio ragioni psicologiche, economiche, politiche, ecc.
Conclusione
La complessità del mondo in cui siamo immersi richiede che impieghiamo ogni risorsa di cui disponiamo per cercare di comprenderlo. Come sarebbe sciocco affidarsi soltanto alla fede senza fare ricorso a quel che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione, così sarebbe vano aspettarsi da queste ultime la risposta a esigenze che travalicano il loro ambito di competenza, ma che non per questo sono meno importanti per noi e hanno magari un’attinenza con l’esperienza di fede.
1 Giandomenico Boffi è attualmente ordinario di Algebra presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT). Da qualche anno dirige SEFIR (Scienza e fede sull’interpretazione del reale), un’iniziativa di dialogo interdisciplinare intorno alla realtà, che coinvolge filosofia, teologia e scienze, coagulando numerosi studiosi di varie istituzioni.
2 Soprattutto il volume “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, seconda edizione 1970, traduzione italiana presso Einaudi, Torino 1979
3 Un paio di assunti metafisici (più o meno consapevoli) senza i quali l’attività scientifica non può avere luogo sono l’esistenza dell’universo e la sua intelligibilità
4 Cfr. le seguenti parole di Giovanni Paolo II ai professori dell’Università di Bologna, il 18 aprile 1982: “Poiché la ragione può cogliere l’unità che lega il mondo e la verità alla loro origine solo all’interno di modi parziali di conoscenza, ogni singola scienza – comprese la filosofia e la teologia – rimane un tentativo limitato che può cogliere l’unità complessa della verità unicamente nella diversità, vale a dire all’interno di un intreccio di saperi aperti e complementari”.