Il tema “Nel deserto semi di speranza” è il nucleo centrale della proposta di formazione permanente 2016-2017 che il Movimento Pro Sanctitate rivolge ai suoi membri e che offre a tutti come strumento di crescita spirituale personale e comunitaria.
Il deserto
Il deserto non è il luogo della privazione e del nulla. Esso rappresenta invece il posto dove ciascuno di noi può spogliarsi del superfluo, di quanto è “esteriore, immediato, visibile, veloce, superficiale, provvisorio” (EG, 62) ed incontrare nella verità e realtà del proprio essere Dio ed i fratelli. Per questo il percorso formativo si sofferma a leggere la chiamata alla santità come ricerca di quei doni positivi che abbiamo ricevuto e che sovente barattiamo per incuria, minimalismo, fragilità con le loro controparti negative. La rivoluzione dell’amore di Dio nella nostra vita si realizza nello sperare ogni oltre speranza, nello sperare in Lui anche quando la vittoria su povertà, disperazione, prigionia non è neppure visibile. Siamo chiamati a “prendere il largo” facendoci forti della fiducia che Dio ha per noi, della sua misericordia che sempre e comunque ci offre nonostante le nostre debolezze.
Non abbiamo scuse; i mali del mondo e quelli della Chiesa non possono ridurre il nostro impegno.
“Consideriamoli come sfide per crescere. Inoltre, lo sguardo di fede è capace di riconoscere la luce che sempre lo Spirito Santo diffonde in mezzo all’oscurità, senza dimenticare che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia» (Rm 5, 20). La nostra fede è sfidata a intravedere il vino in cui l’acqua può essere trasformata, e a scoprire il grano che cresce in mezzo della zizzania” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, Alcune sfide del mondo attuale).
La speranza
Ai Lettori di Aggancio e a tutti coloro che in questo anno avvicineremo sarà proposta sempre la speranza come risposta della fede, cercando di dettagliarla sullo sfondo dell’assunto di S. Paolo “Ti basta la mia grazia, la forza si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12, 9).
La speranza cristiana è la speranza dei crocifissi, nasce all’ombra della croce, nascosta nei fori dei chiodi che trafissero Gesù. La speranza dei crocifissi è speranza nell’impotenza. Non è la speranza di chi si dimette dai suoi compiti, di chi si rassegna nella storia, di chi si abbandona agli eventi. La croce, al contrario, significa azione nella storia, ma lotta da poveri, da crocifissi. Gesù è morto in piedi sulla croce, si è battuto da povero, non scendendo a compromesso, non gettando le armi, togliendo la maschera ai violenti. La speranza è poi l’attesa, l’esercizio della pazienza, esige costanza, e la costanza è l’agire in condizioni difficili senza cedere, e senza far venir meno la propria testimonianza. I credenti sono quelli che sperano, sono coloro che non si arrendono. La vita che si crea nella storia è resurrezione, nasce dalla morte con la resurrezione.
Nello scorrere dei mesi, la riscoperta degli strumenti che Dio ci offre per vivere con gioia la nostra realtà di figli diventerà patrimonio di ciascuno, frutto dello Spirito, lievito per una crescita nella fede dei singoli e delle comunità. Le parole che abbiamo appena letto ci devono mettere in uno stato di attenzione, perché non sarà facile comunque catturare il vero senso della speranza. E come potrebbe essere facile avendo fatto riferimento alla croce. In questo però ci aiuta Papa Francesco che senza tentennamenti ci dice che «la speranza è un rischio, è una virtù rischiosa, è una virtù, come dice san Paolo “di un’ardente aspettativa verso la rivelazione del Figlio di Dio”. Non è un’illusione» (Omelia a Santa Marta, 29 ottobre 2013).
Oltre che alla croce abbiamo fatto prima riferimento alla pazienza; ma allora il tempo della speranza non può essere l’oggi. “La speranza esige il domani, non semplicemente in questo campo ascetico, di sforzo, di cammino, ma anche di perfezione. Perfezione che si potrà raggiungere in tanti modi, anche cadendo e risollevandosi, ma si deve raggiungere. E allora ecco la nostra specifica vocazione, la vocazione alla santità, che è essenzialmente vocazione di speranza. Non si può pensare alla propria santità, non si può pensare alla santità degli altri senza radicarsi fortemente nella speranza. Se avremo la speranza, potremo veramente pensare alla santità degli altri, se invece non coltiviamo questa virtù non potremo avere una spiritualità dinamica, di progresso: non potremo aspirare realmente alla santità” (Guglielmo Giaquinta, La speranza).
Il cammino
Siamo guidati nella scoperta delle nostre povertà, frutto dell’opera gratuita dello Spirito in noi; siamo chiamati a riconoscere la croce da portare, non come simbolo di sconfitta ma luogo di salvezza e di santificazione; è urgente riscoprire la missione da compiere: portare, come anfore, agli altri l’acqua viva che sgorga dalla croce di Cristo e operare affinché il mondo sia una famiglia di tutti santi, tutti fratelli.
SCOPERTA delle povertà
Anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti, e ricordare quello che ha detto il Signore a san Paolo: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (EG, 85)
“Siamo il nulla concretizzato nella storia. Però, concretamente, da questo nulla nasce il miracolo dell’amore e quindi il punto di arrivo: Dio; il punto di partenza è il nulla, il punto di arrivo è il Tutto” (G. Giaquinta, La pietra).
CROCE da riconoscere e accogliere
Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male. (EG, 85)
“Il trionfo della fedeltà nella Chiesa, come si è visto, è testimoniato da una meravigliosa storia di santi e di martiri” (G. Giaquinta, La fedeltà).
MISSIONE da compiere
Siamo chiamati ad essere persone-anfore per dare da bere agli altri. A volte l’anfora si trasforma in una pesante croce, ma è proprio sulla Croce dove, trafitto, il Signore si è consegnato a noi come fonte di acqua viva.
Non lasciamoci rubare la speranza! (EG, 86)
“Se avessimo il coraggio della croce, di saper sacrificare un po’ delle nostre certezze, di essere un pochino più poveri mentalmente, capiremmo la nostra missione” (G. Giaquinta, La teologia della croce).
Novembre 2016 Nel peccato … misericordia Osea 11, 1-7
Il peccato dell’uomo ha reciso il suo legame con Dio. Tutto sembra finito, la punizione di Dio inevitabile. Eppure, … eppure Dio, l’offeso, dona la capacità di provare la misura del suo amore: l’amore senza misura, la misericordia.
Forse non tutti sanno che San Francesco Saverio aveva una sorella clarissa, la quale aveva dei fenomeni straordinari, però era molto amareggiata per il fatto che cadeva sempre in determinati difetti e non riusciva perciò ad andare avanti, stava sempre allo stesso punto e le stesse imperfezioni non si allontanavano mai da lei. In sostanza: accanto alle rivelazioni, alle visioni, ai sogni profetici, aveva una vita di imperfezione piuttosto pesante, perché non riusciva a superare determinati ostacoli.
Un giorno sognò di trovarsi ai piedi di una montagna: c’erano delle difficoltà, dei rovi, dei sassi enormi e lei non sapeva come fare. A un certo punto un angelo le venne accanto – il suo angelo custode – e le chiese: «Vuoi che ti accompagni per andare avanti?». «Magari!». L’angelo la prese per mano e cominciarono a camminare. E ogni tanto, un cascatone! Si rialzavano, ricominciavano, un altro cascatone! A un certo punto, stanca, si rivolse all’angelo: «Angelo mio, qui o sola o accompagnata io sto sempre male, cado continuamente». E l’angelo le rispose: «Cadendo e rialzandosi, si avanza». Ecco la virtù della speranza: cadendo e rialzandosi si avanza. (G. Giaquinta, La speranza)
Dicembre 2016 Nella povertà… condivisione Lc 2, 1-20
Siamo chiamati a cancellare dal nostro vocabolario l’espressione “ognuno per sé e Dio per tutti” che forse troppe volte ha contraddistinto il nostro operato. La rivoluzione dell’amore comincia non quando si è ricchi, ma quando la povertà potrebbe farci pensare di dover giocare in difesa. E invece Dio ci suggerisce altri orizzonti.
Nell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci… È utile confrontare la reazione dei discepoli, di fronte alla gente stanca e affamata, con quella di Gesù. Sono diverse. I discepoli pensano che sia meglio congedarla, perché possa andare a procurarsi il cibo. Gesù invece dice: date loro voi stessi da mangiare. Due reazioni diverse, che riflettono due logiche opposte: i discepoli ragionano secondo il mondo, per cui ciascuno deve pensare a sé stesso; ragionano come se dicessero: “Arrangiatevi da soli”. Gesù ragiona secondo la logica di Dio, che è quella della condivisione.
Quante volte noi ci voltiamo da un’altra parte pur di non vedere i fratelli bisognosi! E questo guardare da un’altra parte è un modo educato per dire, in guanti bianchi, “arrangiatevi da soli”. E questo non è di Gesù: questo è egoismo. Se avesse congedato le folle, tante persone sarebbero rimaste senza mangiare. Invece quei pochi pani e pesci, condivisi e benedetti da Dio, bastarono per tutti. E attenzione! Non è una magia, è un “segno”: un segno che invita ad avere fede in Dio, Padre provvidente, il quale non ci fa mancare il “nostro pane quotidiano”, se noi sappiamo condividerlo come fratelli. (Papa Francesco, Angelus, 3 agosto 2014)
Gennaio 2017 Nella malattia… consolazione 2 Corinzi 1, 3-7
Non siamo soli nelle tribolazioni. Qui, nel deserto del dolore, l’incontro con Dio è più diretto, il vuoto è pronto per accoglierlo, la fiducia e la speranza hanno veramente un volto, il Suo, e quello dei fratelli che ce lo rendono tangibile. Oppure, possiamo riempire il deserto del nostro dolore solo del nostro IO. Preghiamo per chiedere la forza della giusta scelta, per saper accogliere la consolazione e chi è pronto ad asciugare le nostre lacrime.
L’animo umano, nonostante il peccato originale, nonostante le colpe che forse hanno aggravato lo stato iniziale, è fatto a somiglianza, ad immagine di Dio. Dio è essenzialmente amore: così Giovanni lo ha definito. Se la Trinità ha fatto l’animo umano a sua somiglianza, vuol dire che esso è fatto di amore e per amare. È su questo punto centrale dell’animo umano, su questa zona sensibile che si chiama cuore, che si chiama amore, esigenza d’amore, attesa d’amore, è su questa zona più profonda, forse a volte pudicamente nascosta, ma reale, presente in ogni creatura umana, che noi dobbiamo puntare se vogliamo dare un minimo di speranza, di fiducia, di attesa, di certezza per il domani. (G. Giaquinta, La speranza)
Febbraio 2017 Nella disperazione fiducia Lc 24, 13-35
“La disperazione è la negazione radicale, l’uccisione, la morte della speranza” (G. Giaquinta, La speranza). La disperazione si vince anche avendo il coraggio e la perseveranza di alzare il proprio sguardo e guardare a cosa Dio ci ha preparato: non lasciamoci scoraggiare nel cammino verso la santità. La disperazione si vince anche non concentrandosi sul proprio IO, ma accettando la fiducia che Dio ha verso ciascuno di noi e trasformandoci in portatori di speranza. Impariamo, come chiesa e singole comunità ecclesiali, ad accogliere chi è disperato ed a trasformalo in un’anfora di speranza.
Non temete di gettarvi tra le braccia di Dio. Dio non vi chiederà nulla se non per benedirlo e ridonarvelo moltiplicato cento volte tanto!
Non lasciatevi scoraggiare dai perdenti o dai paurosi che vi vogliono togliere il sogno, che vi vogliono rinchiudere nelle loro mentalità buie invece di lasciarvi volare nella luce della speranza! Per favore, non cadete nella mediocrità! In quella mediocrità che abbassa e che ci rende grigi, ma la vita non è grigia, la vita è per scommetterla per i grandi ideali e per le cose grandi.
La negatività è contagiosa ma anche la positività è contagiosa; la disperazione è contagiosa ma anche la gioia è contagiosa: non seguite persone negative ma continuate a irradiare intorno a voi luce e speranza! E sapete che la speranza non delude, non delude mai!
Nulla si perde con Dio ma senza di Lui tutto è perduto; aprite a Lui il vostro cuore e abbiate fiducia in Lui e i vostri occhi vedranno le sue vie e le sue meraviglie (cfr Pr 23, 26). (Papa Francesco, ai partecipanti al 36° pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, 7 giugno 2014)
Marzo 2017 Nella indifferenza dialogo Gen 4, 8-10
Il deserto può essere anche il luogo del non-incontro, del rifiuto dell’altro. Il rischio non è l’accettare il demonio, ma essere indifferenti verso Dio (cfr. Ap 3, 15-16). Di fronte a Dio che si interessa di noi fin dall’origine del tempo, quale è la nostra risposta? Possiamo dire come singoli e come comunità “Dio mio ho cura di te”? Preghiamo anche per poter dire con tutto il cuore “Dio mio aiutami ad aver cura dei miei fratelli”.
Saper rispettare l’altro, ascoltarlo, cercare di capirlo quale portatore potenziale della voce dello Spirito: è, questa, una forma essenziale di una carità che sa maturare in dialogo. (G. Giaquinta, Andate in tutto il mondo) Solo quando una comunità saprà divenire dialogo vivente, espressione dello Spirito, si potrà arrivare alla piena unità e alla completa carità: ciascuno deve essere costituzionalmente capace di inserirsi con umiltà e generosità in un dialogo dalle molte voci. (G. Giaquinta, La carità ci spinge)
Aprile 2017 Nella prigionia libertà (1Sam 18, 6-9. 19, 1-7)
Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esortazione dell’apostolo: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4, 26). E soprattutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo (MV, 9).
Formazione della volontà, dunque, che è indispensabile in tutti i campi e quindi anche in questo della carità: quando ci sia una forte volontà e dominio del proprio io, allora anche le passioni, che in fondo sono un po’ il motivo determinante delle mancanze di carità, vengono dominate (per es. l’ira, la vendetta, l’odio). […] Quando parliamo della formazione della volontà dobbiamo parlare in termini non semplicemente psicologici, ma anche e soprattutto, soprannaturali tenendo conto, cioè, della grazia di Dio e quindi della forza dei sacramenti e della potenza della preghiera. (G. Giaquinta, La carità ci spinge)
Maggio 2017 Nella solitudine accoglienza (Gv 4, 1-42)
Ci sono due tipi di solitudine: una è quella in cui non riusciamo ad abbandonare i nostri fardelli, le nostre povertà e che poco a poco mangia la nostra vitalità. L’altra è quella in cui rimuoviamo tutto il superfluo e che ci consente di fare spazio al Dio, anzi di scoprire la sua unicità, di accoglierlo definitivamente e di poter esclamare come Tommaso “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20, 28).
Tante volte ci dimentichiamo che c’è un male che precede i nostri peccati, che viene prima. C’è una radice che causa tanti ma tanti danni, che distrugge silenziosamente tante vite. C’è un male che, poco a poco, si fa un nido nel nostro cuore e “mangia” la nostra vitalità: la solitudine. Solitudine che può avere molte cause, molti motivi. Quanto distrugge la vita e quanto ci fa male! Ci separa dagli altri, da Dio, dalla comunità. Ci rinchiude in noi stessi. Perciò quello che è proprio della Chiesa, di questa madre, non è principalmente gestire cose, progetti, ma imparare a vivere la fraternità con gli altri. È la fraternità accogliente la migliore testimonianza che Dio è Padre, perché «da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35). In questo modo Gesù, ci apre ad una nuova logica. Un orizzonte pieno di vita, di bellezza, di verità, di pienezza. (Papa Francesco, Omelia a Campo Grande di Nu Guazú, Asunción, Paraguay, 12 luglio 2015)
A questo aspetto che potremo chiamare cruento dello stato vittimale di Cristo si deve aggiungere quello morale, psicologico, sociale, giuridico. Cristo è abbandonato dai suoi nella solitudine più assoluta (fa eccezione l’ultimo momento in cui ai piedi della croce sono la Madre, Giovanni, Maria di Magdala e qualche pia donna). Egli è completamente solo. (G. Giaquinta, L’amore è rivoluzione)
Giugno 2017 Nella fragilità vicinanza (Sal 38)
La fragilità che il deserto mette in evidenza non è solo quella fisica. Ma ancora una volta ci si prospetta l’opportunità dell’incontro con Dio Padre e con i fratelli: fragilità come necessità di aiuto, di completamento, di accettazione, di accoglienza, di prossimità e vicinanza. Non rinunciamoci.
Se, come più volte ripetuto, il primo e più efficace apostolato è quello della testimonianza e della incarnazione del messaggio che si annuncia, ciascuno deve sentire la responsabilità di vivere per primo, sia pure con tutti i limiti derivanti dalla fragilità fatta a volte di stanchezza, di non buona emotività, ecc., la carità che Cristo ha indicato al mondo con l’esempio della Sua vita. (G. Giaquinta, Andate in tutto il mondo)
Ecco due culture opposte. La cultura dell’incontro e la cultura dell’esclusione, la cultura del pregiudizio, perché si pregiudica e si esclude. La persona malata o disabile, proprio a partire dalla sua fragilità, dal suo limite, può diventare testimone dell’incontro: l’incontro con Gesù, che apre alla vita e alla fede, e l’incontro con gli altri, con la comunità. In effetti, solo chi riconosce la propria fragilità, il proprio limite può costruire relazioni fraterne e solidali, nella Chiesa e nella società. (Papa Francesco, Discorso al Movimento Apostolico Ciechi e alla piccola missione per i sordomuti, 29 marzo 2014)
Giorgio Assenza * Associato Pro Sanctitate, Direzione Nazionale.