San Camillo de Lellis può essere definito un santo della misericordia per due motivi fondamentali. Il primo, perché all’età di 25 anni ha avuto un’esperienza speciale della misericordia di Dio per la quale decise la svolta radicale e definitiva della sua vita. Fino ad allora soldato mercenario, comprese che stava sprecando la sua esistenza rincorrendo inutilmente la felicità nelle cose effimere della terra. Penetrato dalla dirompente misericordia di Dio, decise di spendere il resto dei suoi anni nel fare penitenza come frate cappuccino. Il disegno di Dio, però, era un altro: che testimoniasse agli altri, soprattutto ai poveri e ai malati, l’amore misericordioso di Dio di cui aveva fatto viva esperienza. Questo è il secondo motivo per cui S. Camillo de Lellis è da annoverare fra i santi della misericordia. “Gesù Cristo ha insegnato che l’uomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio ma è pure chiamato a usar misericordia verso gli altri” (Dives in misericordia, 14). San Camillo avendo fatta profonda esperienza della misericordia di Dio e sentendone continuamente il bisogno per se stesso, divenne interprete e sacramento della misericordia di Dio verso i poveri e i malati.
Il giubileo straordinario è un pressante invito affinché – riconoscendoci peccatori – ci lasciamo avvolgere dall’infinita misericordia di Dio e dal suo incondizionato perdono per così riconciliarci con Lui nel nome di Cristo (cfr 2Cor 5, 20). Questa esperienza spirituale è la imprescindibile premessa per divenire annunciatori della misericordia di Dio verso tutti.
S. Camillo ha vissuto un amore misericordioso realmente eroico nei confronti dei malati. Li amava letteralmente alla “follia”. Difatti, molte sue espressioni e comportamenti, su un piano meramente umano, sarebbero da considerare follia se non fossero, invece, stati motivati da un amore estremo verso Cristo considerato realmente presente nella persona del malato. La dedizione era totale: attenzione ai bisogni del corpo e dell’anima; in tutte le circostanze anche con il rischio della vita (come nelle epidemie di peste); in tutti i luoghi (anche sui campi di battaglia: la prima croce rossa); di giorno e di notte; senza alcuna retribuzione; e soprattutto con un cuore di madre: “Prima ognuno domandi grazia al Signore che gli dia un affetto materno verso il suo prossimo acciò possiamo servirli con ogni carità così dell’anima, come del corpo, perché desideriamo con la grazia di Dio servire a tutti gli infermi con quell’affetto che suole una amorevole madre al suo unico figlio infermo” (Reg. XXVII).
Benedetto XIV, nella bolla di canonizzazione di San Camillo (Misericordiae studium) descrive le dimensioni della sua misericordia: “la sublimità dell’amore misericordioso per il quale Camillo vedeva Cristo nell’infermo; la profondità di essa, per la quale consapevole della propria debolezza, s’era fatto servo, ministro dei più poveri ed abbandonati; la larghezza che si estendeva a tutti i malati, senza distinzione di infermità, di condizioni sociali, di nazione e di razza; ed infine la lunghezza, che abbraccia l’arco della sua vita, ad incominciare dal momento della conversione fino alla morte”.
La presenza operosa accanto al malato S. Camillo la giudicava prioritaria rispetto alla stessa preghiera in chiesa! “Non gli piaceva quella sorte d’unione che tagliava le braccia alla carità. Riteneva somma perfezione mentre era tempo di far del bene ai poveri, aiutarli e lasciare allora Iddio per Iddio poiché per contemplarlo non ci sarebbe mancato tempo in Paradiso”.
Ecco una delle tante testimonianze su come Camillo si relazionava ai malati.
“Non parlo dell’affetto con il quale serviva i poveri in Santo Spirito, perché sarebbe come adombrare la ruota del Sole. Quando si metteva intorno ad un ammalato, sembrava veramente una gallina sopra i suoi pulcini, ovvero una madre intorno al letto del suo proprio figlio infermo. Poiché come se non avessero soddisfatto all’affetto suo le braccia e le mani, per lo più si vedeva incurvato e piegato sopra l’infermo, quasi che col cuore e col fiato e con lo spirito porgerli quell’aiuto di cui necessitava. E prima che si partisse da quel letto, cento volte andava tastando il capezzale e le coperte da capo, da’ piedi e da’ fianchi: e come se fosse trattenuto, o attirato da una invisibile calamita, pareva che non trovasse la via di distaccarsene, molte volte andando e tornando dall’una all’altra parte del letto, dubitando e interrogandolo se stava bene, se aveva bisogno d’altro, ricordandogli qualche cosa riguardante la salute.
Non so come meglio si poteva rappresentare la dedizione e l’affetto di una madre molto amorevole intorno all’unico figlio che si trovasse gravemente ammalato. E chi non avesse allora conosciuto il Padre, non avrebbe pensato che egli fosse andato all’Hospidale per servire indifferentemente tutti gli ammalati, ma per quello solo, come se gli fosse molto cara e di grande interesse la vita di quel poverino, e come se non avesse avuto al Mondo altro pensiero”.
Nella storia della Chiesa non c’è mai stato un santo che abbia mostrato maggiore amore verso i malati di S. Camillo de Lellis. I suoi stessi confratelli e il Papa hanno dovuto frenare il suo ardore e il suo smisurato fervore che stava decimando tanti suoi religiosi.
Camillo portò nel mondo sanitario dell’epoca diversi e interessanti riforme che segnarono il modo di fare assistenza; di notevole spessore, e ancora attuali, le Regole infermieristiche stampate a Milano nel 1613. Il Papa Benedetto XIV lo definirà “iniziatore di una nuova scuola di carità verso gli infermi” ed è stato successivamente proclamato patrono universale dei malati, infermieri, operatori sanitari e luoghi di cura. La liturgia ricorda san Camillo de Lellis il 14 luglio.
P. Renato Salvatore m.i.