L’obbligo della santità!
La santità è “la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa” (cfr. Christifideles Laici, 16). Essa non è un onere, un’imposizione, ma un dono o forse di più un obbligo che deriva dal nostro essere figli. Scriveva a tal proposito Leon Bloy, che «non c’è che una tristezza al mondo ed è di non essere santi». Si capisce, allora, che il contrario di santo non è peccatore, ma fallito! La santità consiste essenzialmente – sono parole dello stesso Bloy – nel mettere da parte «la negligenza, la pigrizia, la svogliatezza, il cercare sempre e soltanto i propri comodi» e, invece, «cercare di avvicinarci a Lui». Per dirla con l’Apostolo Paolo, la santità è formare Cristo in noi o più semplicemente prendere la forma di Cristo (cfr. Galati 4,19). Essa è una propensione a vivere la grammatica dell’amore e della disponibilità totale al Vangelo e a Cristo. Essa è opera gratuita di Dio, è innanzitutto ciò che Lui compie nel cuore di una persona; e proprio perché è opera di Dio tutti possono diventare santi. Essa non è una vocazione privilegiata per mistici ma lo sbocco naturale della fede e dell’amore di ogni credente. In poche parole non si può essere cristiani se non si è santi! Perché ogni credente è tale solo se decide di assomigliare e assimilarsi a Cristo Gesù. Il mondo d’oggi ha bisogno di santi, essi possono offrirci lezioni valide di vita. Essi sono stati uomini e donne che hanno accettato il mondo e per il mondo sono diventati una autentica speranza.
La beata Illuminata Bembo, che subentrò dopo la morte della santa nell’ufficio di badessa del monastero Corpus Domini di Bologna, fu una delle prime testimoni oculari dei prodigi che scaturirono dopo quel 9 marzo 1463, data in cui Madre Caterina de’ Vigri, fece il suo ritorno a Dio. La beata Bembo ci ha lasciato, infatti, notevoli testimonianze, narrando con precisione quanto avvenne nei giorni successivi alla morte di Madre Caterina. Depone: «Allorchè la fossa fu pronta e quando vi calarono il corpo, che non era racchiuso in una bara, esso emanava un profumo di indescrivibile dolcezza, riempendo l’aria tutt’intorno. […] Le sorelle venivano a visitare spesso il cimitero, piangevano, pregavano e leggevano presso la tomba, e notavano sempre il dolce odore che la circondava», e ancora, dopo la riesumazione, «la defunta divenne di colore bianco, bella, intatta, come se fosse ancora viva, […] Ella cominciò a cambiare colore, diventando più rossa, mentre il Suo corpo cominciava ad emettere un sudore piacevolmente profumato». La vicenda di Caterina rientra, certamente, in quella che la pietà cristiana definisce il miracolo dei corpi incorrotti. A molti dei lettori, almeno una volta, sarà capitato, entrando in qualche monastero o chiesa, di sostare ammirati davanti a qualche urna sontuosa con dentro il corpo di un santo o beato. In alcuni casi si tratta di simulacri in altri, invece, di salme. Solo in Italia abbiamo diversi esempi! Ma chi fu santa Caterina da Bologna per meritare una così grande grazia da non vedere il suo corpo corrompersi?
Ella nasce l’8 settembre 1413 a Bologna in una famiglia abbastanza facoltosa. Il padre, Giovanni, noto avvocato e professore di giurisprudenza, aveva sposato Bonaventura, una giovane donna molto pia della nobile famiglia dei Mamellini. Sin da piccola frequenta la corte del marchese Nicola d’Este a Ferrara. Riceve qui una buona cultura, imparando la musica, la pittura (dipinge, infatti, squisite miniature che ancora oggi possono essere ammirate), la danza e la poesia. Dopo la morte del padre lascia la corte per entrare nel convento delle suore Clarisse di Sant’Agostino a Ferrara. «Se vuoi avere tutto, devi donare tutto». Furono anni di battaglia e fatica, fu tormentata, infatti, da numerose visioni demoniache, che la gettavano in un’angoscia profonda. A Ferrara fu, per un certo periodo, lavandaia, cucitrice e la fornaia della comunità, ma il riverbero della fiamma all’interno del forno le causò problemi agli occhi. Nonostante questo essa rimase al suo posto, compiendo giorno dopo giorno la volontà di Dio. Caterina è ben presto scelta come maestra delle novizie: scrive per loro nel 1438 il Trattato sulle sette armi spirituali, oltre a un’autobiografia e a un saggio che mostra la sua esperienza mirabile circa la battaglia spirituale. Nel 1432 la comunità di Ferrara, divisa tra coloro che volevano adottare la regola più rigida di Santa Chiara, e coloro che volevano restare terziarie di Sant’Agostino, scelse di abbracciare quella della santa di Assisi. Papa Nicola V nel 1452 approvò decretando la clausura. Con lei il monastero divenne un mondo di preghiera e gioia, silenzio e contemplazione, fatica e lavoro. Numerose le postulanti, tanto che le suore non erano in grado di alloggiarle. Viene chiesto e ottenuto il permesso dal papa di fondare altre case in tutta Italia: i cittadini di Bologna chiedono che ne venga istituito uno nella loro città, va a fondarlo appunto Caterina. Ella porta con sé la madre, rimasta ancora vedova. Con suo grande disappunto, Caterina fu scelta come superiora della nuova fondazione. Alle consorelle confida titubante: «Non sono capace di custodire i polli, tanto meno sarò in grado di prendermi cura di queste consacrate a Dio!». È il 22 luglio 1456. Il tempo passa, si dice che la nuova madre badessa abbia apparizioni e rivelazioni; e intorno a lei, nel frattempo, comincia a formarsi un clima di continuo miracolo. Visita le malate e svolge innumerevoli servizi per loro, anche i più umili. La sua carità spirituale è infinita! La prima domenica di Quaresima del 1463, Caterina è colta da dolori fortissimi e deve mettersi a letto, da dove non si rialza più. Muore, infatti, il 9 marzo. La sua agonia è stata serena e tranquilla, tanto che le suore presenti non si sono accorte della morte fino a che non sentono un profumo dolcissimo e non vedono che il suo viso è ritornato giovane e fresco come quello di una quindicenne. Santa da subito, anche se la canonizzazione avverrà solo nel 1712, con Papa Clemente XI. Il suo corpo non è sepolto, si trova collocato tuttora sopra un seggio, come quello di una persona viva, nella piccola cappella di via Tagliapietre, accanto alla chiesa che a Bologna è chiamata ancora oggi “della santa”.
I santi sono il segno della provvidenza e della misericordia di Dio. È provvidenziale poter coniugare tutto questo con l’anno della Misericordia, indetto dal Santo Padre Francesco, il quale ci ha ricordato che all’origine di tutto vi è l’amore di Dio! Un amore che perdona, guarisce e ricrea. Un amore che ha occhi vigili, mano tesa e cuore aperto. Un amore che porta l’uomo, ogni uomo, ad uscire dall’anonimato grigio e vuoto in cui si trova, anonimato nel quale è tentato di trovare rifugio! Un amore che “chiama per nome’’, che crea, in un certo senso, un vuoto e uno spazio nel nostro cuore; un luogo che Dio occuperà come mai aveva fatto prima. E mentre le cartine geografiche cambiano di anno in anno, l’uomo resta sempre lo stesso: impastato di peccato, bisognoso d’infinito, di Cielo! In tutto ciò Dio, paziente come sempre, rinnova perennemente il suo invito: essere uomini liberi per essere uomini veri, peccatori riconciliati con Lui, col prossimo e con noi stessi. Dovunque si elevi una Croce, quest’amore è proclamato! Un amore che diventa dono da accogliere per fare memoria: la memoria degli avvenimenti salvifici compiuti da Dio attraverso suo Figlio Gesù; la memoria di un Dio che ricrea, salva, porta a compimento!
Santa Caterina da Bologna, come ha ricordato il Card. Caffarra durante l’omelia del 9 marzo 2012 presso il Santuario del Corpus Domini, «ci ottenga di entrare veramente attraverso la porta della fede nel mondo che non passa, di passare dalle ombre alla Realtà».
Andrea Maniglia