Marco Garcia Xixon nasce, quinto di otto figli, da una famiglia di agricoltori agiati della vecchia Castiglia nel 1561, ad Almodovar. È la Spagna di Filippo II, della Controriforma, e se si vuole della riscossa cattolica dopo la tempesta della riforma protestante. Come accade all’epoca in Spagna ad un numero elevatissimo di figli delle famiglie di media e alta condizione, viene avviato verso la vita religiosa. La sua famiglia è imparentata con San Giovanni d’Avila, e la stessa Santa Teresa, sembra, ospite in casa dei suoi genitori avrebbe predetto per lui un futuro di santità.
A diciannove anni, dopo studi fra i carmelitani, si decide ad entrare in un Convento di Trinitari, proseguendo gli studi durante il noviziato. Diventa in seguito predicatore e si guadagna una bella fama. Le sue prediche che invitano alla conversione fanno affollare i confessionali con un certo sconcerto da parte dei suoi confratelli meno seguiti, e con sua soddisfazione.
Ora i Trinitari sono un ordine fondato in Francia nel XII secolo che ha i suoi obiettivi dichiarati nel culto della Santissima Trinità e nella redenzione degli schiavi, a partire dai cristiani resi schiavi dai mussulmani: una singolare scelta evangelica nella primavera ecclesiale del dodicesimo secolo. Ma accade in qualche modo quello che accade in diversi ordini religiosi: con il passare dei secoli, la regola si allenta, quella scelta di vita diventa scelta di carriera, e con l’ausilio di generose interpretazioni finisce spesso con diventare una scelta di vita comoda.
Nel fervore della riforma cattolica anche i Trinitari riscoprono l’esigenza di ritornare alla Regola originale, la quale prevede, oltre all’astensione da diversi cibi allora considerati irrinunciabili, e in primo luogo la carne, anche molte altre limitazioni personali e una intensa e obbligatoria vita di preghiera. Il nostro Marco Garcia, sembra, in un primo momento, tutt’altro che attratto dalla prospettiva di abbracciare la riforma dell’ordine da più parti invocata. Ma un giorno gli accade, forse per un voto pronunciato in un momento di pericolo, di abbracciarne invece la causa.
Entra nelle comunità di Trinitari “recolletti” che hanno una regola più rigida. “Rinuncia al ‘Dio molto zuccherato e molto sensibile’ in cui aveva creduto fino ad allora, per abbracciare il Dio nudo nello strazio della croce. Si accorge subito che anche tra i “recolletti” non c’è autenticità: poveri e austeri di nome ma non di fatto, si limitano ad un’osservanza formale, senza arrivare alla radicalità che il Vangelo e la Regola richiedono” (www.santiebeati.it).
Lui invece la prende sul serio: nominato ministro del convento, impone la regola provocando l’abbandono di molti, evidentemente spaventati dall’austerità. “Questa religione non è mia ma di Dio. Se molti vanno via, Dio ne chiamerà altri” sarebbe stato il suo commento. Questo non gli attira le simpatie dei superiori dell’ordine che in vari modi esercitano pressioni e mettono ostacoli al suo cammino, al punto che alla fine egli si reca a Roma per farsi approvare direttamente dal Papa Clemente VIII la riforma dell’ordine, che ottiene. Approvata e fondata nel 1599 la “Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’Ordine della Santissima Trinità”, assume il nome di Fra Giovanni Battista della Concezione, e trova subito numerosi nuovi adepti.
Si spegne all’età di 52 anni nel 1613. È stato proclamato santo da Paolo VI nel 1975.
Una storia classica ma istruttiva non poco per i tempi attuali della Chiesa, per i nostri tempi. Innanzitutto San Giovanni Battista della Concezione non ha paura: il convento che si svuota non lo induce a più miti consigli.
In secondo luogo, è una occasione per ricordare a noi stessi e al mondo che le istanze di riforma della Chiesa ci sono sempre state, che la Chiesa “santa e composta di peccatori” secondo la felice espressione di Benedetto XVI, è sempre stata un popolo in cammino.
Infine, e forse questa è la più importante delle lezioni da trarne, anche in quel tempo, come in ogni altro, si aveva e si ha assai più bisogno di testimoni che non di predicatori. Le parole quasi crude di Gesù in proposito (Mt 7, 21) sembrano quasi scritte per questi tempi di comunicazione “social”, di pubblicazione frenetica e compulsiva, di continua e spesso tanto sciocca e implacabile quanto diffusa osservazione di pagliuzze negli occhi altrui: specie, si direbbe negli occhi di altri credenti, ritenuti della ‘tendenza’ sbagliata. In totale dimenticanza delle travi che fuoriescono dai propri.
Alberto Hermanin