Una caratteristica dell’uomo di oggi che accomuna molti di noi: siamo dei “consumatori”. E sempre più veloci. Consumiamo di tutto: dal cellulare all’automobile, dal cibo del momento alla notizia dell’ultima ora, dai rapporti umani (virtuali o reali che siano) al nostro stesso tempo. Sembra che siamo sempre alla ricerca di qualcosa, incapaci di soffermarci, di gustare lentamente quanto stiamo vivendo, quanto ci viene donato. E molto spesso tristi.
Eppure … eppure c’è qualcuno che ogni anno, con testardaggine, ci mette a disposizione una serie di opportunità per fermarci a riflettere, a guardare ai grandi orizzonti piuttosto che sul display del nostro cellulare. È Dio Padre che ci regala tre grandi festività: Tutti i Santi, l’Immacolata Concezione, il Santo Natale. Come dire quel che tutti possiamo essere (santi) se accettassimo di imitare Maria nell’accogliere Cristo che viene come un bambino: indifeso per poter essere da tutti accettato, ma deciso a farci comprendere la gratuità della salvezza che il Padre ci
mette a disposizione attraverso di Lui. Saremo in grado di accettare la gratuità della salvezza in Gesù Cristo? Saremo in grado di abbandonare i panni della tristezza per vestirci della gioia che deriva dall’incontro con Cristo?
Forse il primo atto di misericordia di Dio è il ripetere anno dopo anno il suo “eccomi”, la sua disponibilità a fare il primo passo, la sua gratuità all’incontro con noi. Dio non esclude nessuno, e ci chiede di giocare la nostra vita su due relazioni: una con Cristo, per vedere il mondo con i suoi occhi (ed ecco la sapienza), e l’altra con i nostri fratelli, per accogliere in noi il loro sguardo (ed ecco la pazienza).
Siamo, quindi, chiamati all’incontro, a rispondere con l’amore all’amore.
“Nel momento in cui Cristo mi guarda, mi tocca, mi folgora Egli ama me, e vuole da me una risposta di amore, e sarà questa risposta o questa mancanza di amore che produrrà in Cristo la gioia di essere riamato o la delusione di non essere amato. Quante volte abbiamo provocato in Cristo la gioia della risposta di amore, quante, invece, la delusione del non amore?”. (G. Giaquinta, La chiamata)
“Siamo”. Questa parola ci consente di collocare il nostro amore, e quindi noi stessi, in uno spazio multidimensionale dinamico perché nel tempo si adatta, si adegua al soffio dello Spirito. La dimensione personale è la prima; la dimensione familiare è la seconda; quella comunitaria la terza; quella sociale la quarta. Ecco,
Dio è un essere familiare, comunitario e sociale. Anzi, Dio è così misericordioso da cercare per noi la collocazione migliore e di condurci ad essa “perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv. 15, 11).
Abbiamo quindi motivo di essere tristi? O dovremmo invece esultare di gioia per l’incontro con la Divina Misericordia? “Virtù essenziale è infine la gioia che nasce dall’adesione alla volontà del Padre. Il Signore è venuto a portarci la gioia: dobbiamo averla dentro di noi e comunicarla a chi ci avvicina”. (G. Giaquinta, La carità ci spinge).
Abbiamo allora la possibilità di non essere “consumatori”, ma “santi”. Ma “la santità non è qualcosa che ci procuriamo noi, che otteniamo noi con le nostre qualità e le nostre capacità. La santità è un dono, è il dono che ci fa il Signore Gesù, quando ci prende con sé e ci riveste di se stesso, ci rende come Lui… Davvero la santità è il volto più bello della Chiesa… è riscoprirsi in comunione con Dio, nella pienezza della sua vita e del suo amore. Si capisce, allora, che la santità non è una prerogativa soltanto di alcuni: la santità è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano”1
Abbiamo ancora la possibilità di non essere “consumatori”, ma “corresponsabili” all’interno della Chiesa dell’opera di misericordia del Padre. “La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona… Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia”2
Vogliamo vivere questo Anno Giubilare alla luce della parola del Signore, e cominciare a coniugare come singoli, come famiglia, come comunità e come società i cinque verbi che sono il motto del Convegno Ecclesiale di Firenze e che ci accompagneranno nel comune cammino dei prossimi anni. Vogliamo “uscire” dalle nostre abitudini, dalle nostre sicurezze, dall’arroccamento del nostro io e fare spazio a Cristo ed al fratello che mi guarda con speranza, disposti a camminare insieme. Vogliamo “annunciare” con fedeltà, con perseveranza, con gioia la Parola di Dio perché questo è il nostro compito irrinunciabile di figli e perché il mondo tutto attende la buona novella. Vogliamo “abitare” le nostre relazioni e non usarle per poi buttarle via senza innalzare muri. Vogliamo “educare” noi stessi e chi ci sta intorno alla gratitudine ed alla responsabilità, alla scoperta della scintilla di infinito che è in ciascuno, a vivere l’umanesimo “integrale ed integrante” (Laudato sii, 141). Vogliamo “trasfigurare”, cercare di vedere oltre i limiti umani, ricevendo questa capacità in dono come frutto dell’intimità nella relazione con Cristo perché Lui “sia tutto in tutti” (1Cor 15, 28).
Gustiamo quindi con pazienza e sapienza quanto questo ultimo scorcio dell’anno ci riserva e facciamo nostro uno degli insegnamenti di S. Teresa d’Avila che così si può riassumere: la vera santità è gioia.
Giorgio Assenza
1 Papa Francesco, Udienza generale, Piazza San Pietro, 19 novembre 2014
2 Papa Francesco, Misericordiae Vultus - Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia