Nacque a Palermo il 1 Agosto 1399 primogenito di Arduino e Costanza Lo Nigro Ventimiglia alias Bentivegna. Il padre apparteneva ad un’antica famiglia patrizia e ricopriva il prestigioso ruolo di Giudice della Regia Corte, dopo essere stato Legista, Consigliere Regio, Avvocato fiscale e Senatore patrizio di Palermo.
A 18 anni lasciò Palermo per recarsi a studiare legge a Bologna, la più importante sede di studi giuridici dell’epoca. Il suo itinerario di vita era scontato: la laurea, la carriera, il successo, la ricchezza. Ma alla vigilia della laurea, nel 1424, quando il padre e la famiglia già intravedevano la meta dei loro piani, Pietro entrò nell’ordine domenicano, all’insaputa degli stessi genitori. Era il risultato di un cammino di discernimento e di maturazione portato avanti in quegli anni con grande determinazione e volontà, ma col riserbo necessario a tutte le scelte che riguardano il Signore. A tale proposito si tramanda una preghiera che, da studente, era solito fare: “O mio Dio, Creatore e Redentore, mostrami la via da seguire; aprimi la mente, perché il mio cuore è preparato e pronto a seguire le tue ispirazioni… anelo farmi immagine conforme a Te, vivere e morire per Te”.
L’opposizione della famiglia fu così forte da indurre i superiori a non farlo ritornare in Sicilia per il noviziato, che fece a Fiesole, sotto la sapiente guida di Sant’Antonino Pierozzi, poi Arcivescovo di Firenze.
Appena ordinato Sacerdote, iniziò la sua attività di predicatore e di insegnante, con larga stima non solo nell’ambito domenicano, ma soprattutto presso la Curia romana. Insegnò a Firenze, a Bologna, ad Oxford in Inghilterra. Predicò a Padova e in molte città della Lombardia e della Toscana. L’immersione nella predicazione del Vangelo è, per il beato Pietro, totale. Di lui ci rimangono numerosi e pregevoli “sermoni” editi e manoscritti, che ne testimoniano l’intelligente e fervorosa predicazione: “Il predicatore è quasi un singolarissimo pittore, che deve dipingere nelle anime l’immagine di Cristo. Deve quindi portare in sé quest’immagine per poterla proiettare negli altri. Così, se parla della misericordia, della devozione, della carità, della pazienza … L’apostolo deve presentare un ritratto vivo di quel che dice”.
Si adoperò così con ogni mezzo per la rinascita di una vita veramente spirituale tra i religiosi ed il clero in tutta la Sicilia.
Oltre che a Palermo il Beato Geremia svolse anche a Catania un intenso apostolato, tanto che varie volte le due città rivaleggiarono nel chiamare il Beato ad intervenire nelle loro vicende di vita civile e religiosa.
La sua testimonianza di uomo del Vangelo indusse l’intero Convento di S. Cita (fondato nel 1428) a ripristinare la perfetta osservanza della spiritualità domenicana, divenendo polo d’attrazione per tutta la città. Né potevano passare sotto silenzio i gesti prodigiosi di cui la vita di Pietro Geremia fu segnata. Segni che avevano sempre come sfondo la potenza della misericordia che la Parola del Vangelo annunciava. Come quando riattaccò la testa di una donna uccisa il cui capo era stato nascosto fra dei cespugli presso la Porta San Giorgio, la quale subito risuscitò.
Ancora una bambina annegata in un pozzo vicino alla Chiesa di S. Luca. Dopo un’ora di preghiera il Beato si alza e si avvicina al corpo della bambina esclamando: “Svegliati e sorgi, o tu che dormi!”. A quella voce la bambina aprì gli occhi e si alzò fra lo stupore dei presenti. Per questa sensibilità verso le donne e i bambini il Beato Geremia è proclamato anche speciale protettore delle partorienti e dei bambini.
L’episodio che lo rese ancora più caro ai palermitani avvenne nel 1450. Palermo era afflitta da carestia e peste, rivolte e disordini. Per diverso tempo la città rimase isolata per le avverse condizioni del mare e per l’impraticabilità delle campagne circostanti, allagate da temporali. La gente moriva letteralmente di fame.
Il Pretore, il Senato e i Patrizi si recarono a S. Cita per chiedere consigli al Beato che rassicurò tutti dicendo: “Il sole non volgerà al tramonto prima che saremo tutti consolati”. Recatosi poi in riva al mare esortava tutti a pregare, quando improvvisamente si vide spuntare all’orizzonte una nave, che riuscì ad entrare in porto scaricando vettovaglie e viveri di ogni genere per poi scomparire istantaneamente, così come era apparsa.
A Catania la città gli chiese d’intervenire presso il papa Eugenio IV per l’apertura dell’Università a Catania, che fu inaugurata il 18 ottobre 1445 come “Siculorum Gymnasium”, con il discorso del Beato Pietro “De laude scientiarum”. Un anno prima, nel 1444, Catania si considerò salvata da una eruzione dell’Etna grazie all’intercessione di S. Agata, il cui velo fu affidato al Beato Geremia, che lo portò in processione dinanzi alla lava.
Era ancora impegnato nella predicazione a Catania quando, sentendosi male, volle ritornare a Palermo, dove giunse stremato. Di ritorno al convento di S. Cita ben presto le sue condizioni di salute si aggravarono. Chiamati i frati al suo capezzale tenne loro un lungo discorso di addio. Li esortava alla perseveranza parlando loro di tre “scale” per conoscere e sperimentare l’amore di Dio. La prima è la “scala” della natura (quanta bellezza è sparsa sulla terra …); la seconda “scala” è la bellezza dell’anima umana costituita in grazia di Dio; infine la terza scala, la gloria dell’anima, creata di natura spirituale, come quella degli angeli: quale sarà allora la bellezza ineffabile e infinita di Colui che la creò col suo solo volere?
Fece ritorno alla casa del Padre il venerdì 3 marzo 1452, a lui tanto caro per la memoria della Passione del Signore, a cui egli invitava tutti a volgere lo sguardo.
La fama di santità continuò soprattutto dopo la sua morte ad essere viva nei palermitani e il culto fu confermato da Pio VI il 12 maggio 1784. La sua memoria liturgica si celebra il 25 ottobre, caso più unico che raro, ossia nell’anniversario della dichiarazione del Beato a Patrono civile di Palermo, avvenuta nel 1675 da parte del Senato Palermitano che lo proclamò “Avvocato e Patrono” della città e non nel dies natalis come avviene normalmente.
Quale “miracolo” chiedere oggi al Beato Geremia da parte nostra? Prima di tutto la consapevolezza di una vita cristiana che è innanzitutto obbedienza alla Parola di Dio per poi diventarne credibili testimoni in ogni ambiente di vita. E poi l’ “orgoglio” di un passato storico che diventi impegno a costruire il nostro futuro sui veri valori: la dignità della persona e i suoi diritti, il rispetto della giustizia e della legalità, l’accoglienza verso lo straniero, i deboli e i piccoli.
P. Giovanni Calcara, o.p.