Sergio e Domenica Bernardini

Una famiglia per la santità

 

Coniugi Bernardini

“Genitori di dieci figli, Sergio e Domenica Bernardini sono ora a Modena e hanno anche il telefono. È il giorno onomastico di papà Sergio e in poche ore avviene ciò che in nessuna famiglia si è mai visto raccontare.
Mentre le figlie Maria e Paola preparano il pranzo, per quel giorno, squilla il telefono: è la figlia suor Augusta, missionaria da vent’anni nel Giappone, che chiama per gridare i suoi auguri a papà. Poco dopo altro squillo: è la figlia suor Maria Amalia, che chiama dal Messico per un altro festoso scarico di auguri. Passarono pochi minuti e ancora una chiamata dall’Australia: è un’altra figlia missionaria, suor Agata. Di lì a poco il telefono chiama dalla Turchia, è il padre Germano, ultimo dei figli, cappuccino e superiore della missione cattolica di Trevisonda, che più tardi sarà arcivescovo metropolita di Smirne. Ancora al telefono, ora è suor Raffaella, la quarta figlia che chiama da Roma. La cornetta del telefono, che papà e mamma si passano tra loro, è bagnata di lacrime. Non è finita: ora è il clacson d’una macchina in arrivo: è suor Igina da Modena e ha con lei suor Teresa Maria che viene da Torino. Altra macchina, è il padre Sebastiano, cappuccino anch’egli, che viene da Sassuolo (Modena), dove dirige un grande ricreatorio per la gioventù, e porta tanti fiori.
Dieci figli, otto consacrati al Signore e missionari; non sono i soli presenti all’appuntamento di quel giorno; con essi sono giunti plichi di bigliettini, figurine e bigliettini pieni di scarabocchi illeggibili: sono dei bambini delle varie missioni: «Vedi, dicono papà Sergio e mamma Domenica, credevamo di restare senza nipoti, invece, guarda quanti ne abbiamo, in ogni parte del mondo; quanto è buono il Signore!»
Ora la famiglia è quasi spiritualmente al completo, il pranzo può cominciare, ma il telefono non ha detto tutto e questa volta chiama dall’Africa; è un seminarista adottato dai coniugi Bernardini, suggerito da padre Sebastiano; quando egli chiese di andar missionario in Africa, alla visita medica fu scartato; prese il suo posto un seminarista di colore, divenuto poi Mons. Ade Joab, Vescovo di Ibadan (Nigeria).
Con questo racconto ripreso dalla biografia di Padre Panciroli il gesuita Domenico Mondrone inizia nel nono volume de ‘I santi ci sono ancora’ (ed. Pro Sanctitate) il breve profilo dei coniugi Bernardini.
Anche la Redazione di Aggancio ha recentemente – nel numero di settembre- ottobre del 2014 – dedicato una particolare attenzione alla vita semplice e intensa di Sergio (1882-1966) e Domenica (1889-1971) Bernardini. Perché ora tornarci a così breve distanza?
Il 5 maggio 2015 papa Francesco ha autorizzato il decreto che dichiara ‘venerabili’ i nostri due sposi.
E ci pare significativo che ciò avvenga nell’anno dedicato alla vita consacrata e nell’anno che intercorre tra il Sinodo Straordinario dei Vescovi e il Sinodo ordinario entrambi aventi al centro la famiglia.
Proprio nella vita dei Bernardini è ben coniugato il senso di questi due anni speciali. Hanno creduto nella famiglia, hanno dato vita a dieci figli di cui otto consacrati a Dio nella vita religiosa e due nel matrimonio. Inoltre pubblichiamo il loro profilo anche questa volta nel numero dedicato alla Giornata della Santificazione Universale avente come tema ‘la gioia di vivere il Vangelo’: chi più di Sergio e Domenica ci potrà dire con la testimonianza la bellezza della vita, la gioia di credere in Gesù e di seguirlo in ogni vocazione fino al culmine della vita santificata dallo Spirito?
“Non è forse la famiglia il luogo in cui si riceve la vita ma anche la fede, l’educazione ai valori essenziali per una vita realizzata pienamente? Nella famiglia cristiana “infatti, il più delle volte germogliano e spuntano vocazioni sacerdotali e religiose. Non a caso il Concilio definisce la famiglia cristiana «primo seminario», raccomandando che in essa vi siano le condizioni favorevoli per la loro crescita. Certamente, tra i servizi che i genitori possono rendere ai figli occupa un primo posto quello di aiutarli a scoprire e a vivere la chiamata che Dio fa loro sentire, compresa quella «sacra»”. Così si esprimeva Giovanni Paolo II già nel 1987.
E papa Francesco in occasione della 49.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali dal tema “Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell’incontro nella gratuità dell’amore” celebrata il 17 maggio scorso ci diceva che la famiglia “continua ad essere una grande risorsa, e non solo un problema o un’istituzione in crisi”, aldilà di come tendono a volte a presentarla i media, quasi fosse un modello “astratto da accettare o rifiutare, da difendere o attaccare, invece che una realtà concreta da vivere; o come se fosse un’ideologia di qualcuno contro qualcun altro, invece che il luogo dove tutti impariamo che cosa significa comunicare nell’amore ricevuto e donato”. La famiglia più bella “è quella che sa comunicare, partendo dalla testimonianza, la bellezza e la ricchezza del rapporto tra uomo e donna, e di quello tra genitori e figli”.
Descrivere la storia e soprattutto il mondo interiore di Sergio e Domenica richiederebbe maggiore spazio ma non rinunciamo ad attingere sia al profilo di padre Mondrone sia ai loro stessi scritti per dare qualche pennellata di paradiso.
Nel 1907 Sergio sposò una bella montanina con questo proposito: Mi sposerò ed avrò tanti figli e se Dio vorrà andranno tutti missionari e faranno tanto bene…
In poco tempo però si trovò di fronte a sette lutti: gli morirono il padre, la madre, la moglie e tre figli e l’unico fratello. Tentò l’America ma ben presto, dopo una lunga malattia, tornò a casa. Al suo rientro, desideroso di realizzare il suo iniziale proposito, si risposò nel 1914 con Domenica, anche lei gioiosa e ricca di fede, desiderosa di figli santi.
Sergio Bernardini aveva vivissimo il senso di Dio: nella famiglia, negli uomini, nei suoi campi ripidi e scoscesi, nel suo lavoro di solito pesante e ininterrotto, negli eventi felici e nelle contrarietà. Aveva in Dio una fiducia illuminata e incrollabile e aumentava con la crescita della sua famiglia. Ogni figlio in più era un nuovo dono di Dio e lo accoglieva con gioia, lo amava, lo trattava come tale, al punto che, parlando con i suoi figli, anche piccolini, dava loro del «voi»: vedeva e rispettava in essi la santità del loro battesimo. È facile pensare come questo inusitato rispetto del papà si traducesse, quasi istintivamente, in altrettanta venerazione verso i genitori.
Al contrario di quelli che considerano un figlio in più una bocca in più che mangia… per Sergio e Domenica un figlio in più voleva dire un pane quotidiano in più sulla tavola del Padre Nostro.
Gente di pochissime lettere e di scarsissima cultura, specialmente Sergio, quei genitori nulla avrebbero potuto apprendere dalla Humanae vitae e dalla Familiaris consortio. Sotto la guida del solo senso cristiano praticavano gli insegnamenti fondamentali di quei grandi documenti pontifici in modo da trovarsi pienamente in regola con essi, che erano di là da venire. Seppero instillare nelle anime dei figli il pensiero del primato di Dio, l’ansia di una carità universale e, ciò che fa più stupire, un’educazione all’idea missionaria che presto doveva sbocciare in una fioritura di vocazioni. Il pensiero missionario, tra i Bernardini, era nell’aria di famiglia, alimentato dalla preghiera assidua dei genitori, specialmente di mamma Domenica; e i figli: sei suore e due religiosi sacerdoti, riconobbero all’aver respirato in quell’aria la grazia della loro vocazione alla vita consacrata.
Sergio e Domenica «avevano sempre vissuto in stato di servizio al Signore ». In casa Bernardini girava questo detto: «La preghiera più bella è la carità».
A un figlio che attraversava momenti di difficoltà scrivevano: «Cerca di sostenerti e sta su di morale, allegro nel Signore più che puoi. Il Signore ti vuole tanto bene. Coraggio. Ti abbraccio. Mamma e papà ti benediciamo».
«Il Signore ci ha tanto benedetti, non lo ringrazieremo mai abbastanza». Quest’ultima espressione diventerà sulle labbra dei due genitori anziani un ritornello di tutti i giorni: era il solo cantico di gratitudine a Dio.
Non possiamo tacere la prova vissuta per circa due anni da papà Sergio. Come altri grandi santi ha attraversato le tenebre degli scrupoli, del dubbio, della percezione negativa di sé. Come un agnello docile ha accolto anche questa permissione di Dio e si è lasciato curare il corpo e l’anima con un animo di fanciullo. Fino al giorno radioso dell’incontro definitivo con Dio vissuto nella chiara luce della presenza della Madonna.
E Domenica che rimane ama ripetere: «Non vi preoccupate di me, non mi manca niente e sono contentissima di stare con voi». Anche per lei passavano gli anni e allora scriveva: «Un tempo pensare alla morte mi faceva una certa impressione, ma ora no. Ormai dobbiamo andare a casa. Non ho paura e ogni giorno è regalato, uno di più. Così è la vita».
Il 22 febbraio 1971, dopo aver scritto una lettera, l’ultima delle centinaia da lei spedite, si mise a rammendare… Un improvviso ictus cerebrale la fermò. I figli accorsero da ogni parte… Si spense la sera del 27 febbraio 1971.

Teresa Carboni

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