La consacrazione è un atto volontario e gratuito, è una libera risposta all’amore di Dio che interpella la persona. A volte, soprattutto di recente, ci si è interrogati sul perché le vocazioni – almeno in alcuni Paesi – stiano diminuendo, con dati statistici alla mano. Senza entrare nel merito delle statistiche, fatta salva la necessaria revisione di vita, è giunto il tempo di pensare in termini di gratuità e non di ‘ritorno’ dei numeri; ovvero: in questi anni, pur con un diminuito numero di vocazioni, quanto bene si è fatto? Quante persone sono state aiutate? In quante persone i consacrati hanno saputo suscitare il desiderio di Dio, lasciando in loro una traccia del suo amore?
«Non siamo entrati [in un Istituto] per preoccuparci del nostro futuro – racconta Sr Juliet -: siamo entrati perché abbiamo sentito che Dio ci chiamava a qualcosa e in questo stile di vita abbiamo visto un modo di seguire la chiamata di Dio giorno dopo giorno, qui e ora … In un mondo di individualismo e successo misurato in dollari, abbiamo scelto una vita molto diversa» (Juliet Mousseau, RSCJ, in LCWR Occasional Papers Summer, 2014).
Quando nasce una vocazione è la Chiesa che l’ha ‘generata’: è la famiglia che ha accolto la vita, è il Corpo Mistico che ha pregato il Padrone della messe, sono gli ambienti ecclesiali (gruppi, movimenti, parrocchie) che hanno dato testimonianza e formato, sono stati i sacerdoti, attraverso la direzione spirituale, che hanno accompagnato, aiutato a comprendere i segni di Dio. Ogni vocazione alla vita consacrata è un grande dono anche se, a volte, si fatica un po’ a riconoscerlo tale.
Inseriamo qui alcuni stralci di una testimonianza di Tom and Rita Hejkal di Omaha, genitori di Monica, che ha risposto alla chiamata a consacrarsi nell’Istituto Secolare delle Oblate Apostoliche: «Man mano che i nostri figli crescevano, spesso li ho incoraggiati a chiedere a Dio un orientamento circa la loro vocazione e poi: “fai la volontà di Dio, qualunque essa sia”. Abbiamo pregato per le vocazioni in generale e anche pregato che il Signore scegliesse uno o più dei nostri figli al sacerdozio o alla vita consacrata. Quando Egli ha scelto la nostra bellissima figlia Monica per consacrarsi a Lui, abbiamo scoperto che avevamo pregato teoricamente tutti quegli anni.
La nostra bella, intelligente, vivace, accogliente, divertente, riflessiva, creativa, forte Monica consacrata? Quando Monica ci ha raccontato della sua decisione di diventare un’Oblata Apostolica, io (Rita) ho trascorso un’intera giornata a piangere per tutto ciò che sia lei che noi avremmo perso.
Stava rinunciando ad un marito e a dei figli suoi e noi stavamo perdendo un genero e dei nipoti… Tutto quello che avevamo immaginato per il suo futuro era improvvisamente svanito e il nostro cuore soffriva…
Anche se la nostra prima reazione è stata di ‘shock’ e di rifiuto, più tempo trascorrevamo in preghiera per questo e più parlavamo insieme e con Monica, più ci convincevamo che Dio ci stava dando un dono senza paragoni. Questo dono comporta dei sacrifici? Sì, sapevamo che li avrebbe comportati, ma ogni cosa di valore non richiede forse sacrifici? Sono stati i sacrifici più grandi del dono? Sapevamo allora e ancora oggi sappiamo che la risposta a questa domanda è “No”. Una volta che abbiamo aperto i nostri cuori, abbiamo cominciato a essere pieni di entusiasmo e di gioia…
Mentre sono sicura che se fosse stata chiamata al matrimonio, lei sarebbe stata una splendida moglie e madre, seguendo la chiamata alla vita consacrata, è stata in grado di portare questa gioia in modo straordinario a molti altri che non l’avrebbero sperimentata altrimenti… Monica è bella nella sua vocazione e ringraziamo il buon Dio per averci dato Monica come figlia e per aver scelto lei per la consacrazione. Che fortuna per lei, per noi, per la Chiesa e per il mondo. Oh, e quel genero che abbiamo pensato che ci sarebbe mancato? Abbiamo scoperto che Monica ha il miglior Sposo possibile e noi lo amiamo con tutto il cuore. Lui è semplicemente il migliore e Monica non avrebbe potuto sposarsi in una famiglia migliore».
Costruttori di pace
Essere ‘padri’ e ‘madri’ spirituali, fratelli di ogni uomo e ogni donna in un mondo in cui la guerra e la violenza entrano quotidianamente nelle nostre case attraverso i mass media, è il mandato che ogni persona consacrata riceve da Dio. È importante ricordare l’azione dei tanti missionari che nel corso dei secoli, rispondendo alla chiamata del Signore, hanno dato la vita nelle terre di missione, in Paesi continuamente attraversati e feriti dalle guerre. Lì, uomini e donne coraggiosi sono stati costruttori di pace aiutando i malati, insegnando ai bambini, difendendo i più deboli anche, a volte, a costo della propria vita. Sì, perché a chi ama, a chi ha scelto di ‘prendere sul serio’ il Signore, la vita non viene ‘strappata’, ma diventa un’offerta, è donata fino alla fine, come quella di Gesù, che i consacrati hanno voluto seguire, di cui hanno voluto condividere la missione: rivelare il mistero dell’amore di Dio.
«Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti», diceva Giovanni Paolo II nell’agosto del 2000 e molti giovani, nella distesa di Tor Vergata, alle soglie del terzo millennio, hanno accolto l’invito a seguire il Signore con cuore indiviso, a consacrarsi a Lui, ad essere segno di una Chiesa che opera per la giustizia, che costruisce la pace, che dona la vita. Le persone consacrate sono le mani e i piedi della Chiesa: quando partono per la missione, è la Chiesa che cammina nel mondo; quando essi lavorano per costruire la pace, è la Chiesa che parla di pace. Il loro cuore batte all’unisono con quello di Cristo: quando sacrificano la vita, è Gesù che attraverso di loro si dona ancora una volta.
È uno stile di vita che trova immediatamente eco nella Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia, Misericordiae Vultus, nella quale si ricorda l’impegno di ciascuno a riscoprire le opere di misericordia spirituali (consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti) e quelle corporali (dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti).
È un richiamo ancora più forte per ogni persona consacrata ad essere segno di un amore che si dona gratuitamente, a farsi strumento della misericordia, a manifestare al mondo Cristo, che è il volto della misericordia del Padre. «La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre» (Misericordiae Vultus, 12).
Durante questa estate si attende e si prepara l’incontro mondiale dei giovani consacrati che si svolgerà a Roma nel mese di settembre. Non sarà solo un’occasione di incontro e di comunione, ma di confronto e di ascolto dello Spirito Santo, per comprendere e accogliere la novità di vita a cui il Signore chiama. Nuovi orizzonti, nuovi percorsi, occhi nuovi e cuore nuovo per guardare avanti, anzi, al di là delle certezze umane. “Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità” – leggiamo in Misericordiae Vultus - con lo sguardo fisso su di Lui possiamo mettere in gioco la vita e camminare, insieme, verso la santità.
*Oblata Apostolica Movimento Pro Sanctitate