di Nicoletta Sechi*
*direttore nazionale del Movimento Pro Sanctitate in Italia
V Convegno Ecclesiale Nazionale Firenze, 9-13 novembre 2015
«In Gesù Cristo il nuovo umanesimo»: così titola il documento redatto in preparazione del quinto Convegno ecclesiale nazionale che si svolgerà a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015. I cinquant’anni dal Concilio Vaticano II sono stati cadenzati da questi eventi ecclesiali quasi a rimarcare con anniversari decennali l’eredità conciliare. Il tema proposto per Firenze evoca la speranza di «rintracciare strade che conducano tutti a convergere in Gesù Cristo, che è il fulcro del nuovo umanesimo». È tempo di affrontare la crisi antropologica con la proposta di un umanesimo radicato nell’orizzonte di una visione cristiana dell’uomo, ricavata dal messaggio biblico e dalla tradizione ecclesiale. Ogni comunità e movimento ecclesiale è stato invitato ad approfondire una delle 5 vie indicate dalla traccia (Uscire/Annunciare/Abitare/Educare/Trasfigurare) offrendo da subito il proprio contributo scritto. Come Movimento Pro Sanctitate abbiamo ritenuto il verbo “uscire” in perfetta sintonia con il momento storico che stiamo vivendo all’interno e all’esterno della nostra realtà, cercando in questo “uscire” le sottolineature del nostro specifico carisma.
USCIRE
Desideriamo come Movimento Pro Sanctitate offrire il nostro contributo alla riflessione sulla prima delle cinque vie, quella indicata dal verbo tanto caro a Papa Francesco: “uscire”. Nel nostro spunto virgolettiamo ed evidenziamo alcune espressioni del nostro Fondatore, il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, che sembrano attagliarsi perfettamente a tale sottolineatura. Il carisma specifico del nostro Movimento ci fa dire insieme al Santo Padre che i santi sull’esempio di Gesù hanno sempre preso l’iniziativa, coinvolto, accompagnato, seminato e festeggiato, sono sempre “usciti”. Mai costruttori di palazzi di idee, i santi hanno sentito che l’amore di Gesù ha una sua legge essenziale: va e cerca sempre il fratello. Vogliamo compiere un passaggio successivo all’uscire, vogliamo dire insieme alla Chiesa tutta, “salire”. Vogliamo immaginare che uscire e salire possano dire all’uomo di oggi, inciampato nei massi disseminati nella strada, incidentato nella modernità, impaurito dalla violenza, appiattito dalla mediocrità imperante, che si può camminare insieme ad altri verso Gesù, lasciando da parte ciò che impedisce alla vita di sbocciare, che si può salire verso la piena imitazione di Cristo con l’aiuto della Chiesa e dei fratelli e che questa altro non è che la santità. Lo sguardo del cristiano è rivolto verso l’alto, il passo dell’uomo nuovo è il gradino di una salita, non si attarda nell’oggi cercando di capire e analizzare quanto già accaduto, ma “guarda il domani che potrà essere formato e costruito meglio dell’oggi e dell’ieri”. È come se, con delicatezza, con questa speranza aperta da Gesù sul domani, potessimo toccare il mento abbassato di un fratello in difficoltà per alzarlo e farlo tornare a guardare davanti a sé. Non cerchiamo un qualche rapporto con il fratello, non perseguiamo solo un rapporto virtuoso di bene perché dobbiamo “non arrestarci ai primi gradini dell’amore, occorre proseguire sempre più in alto”. Come fare concretamente? “Occorre che qualcuno abbia il coraggio di assumersi la responsabilità, di pagare in proprio e andare avanti. Occorrono dei rivoluzionari dell’amore, questo esige che sia indispensabile uscire dal proprio guscio per darsi agli altri, uscire dalla propria autosufficienza, dalla commiserazione di se stessi perché altri hanno bisogno di noi”. Occorre che sempre di più facciamo vedere come Chiesa tutta che la rivoluzione di Gesù cambia il cuore dell’uomo e lo rallegra. “Un amore misterioso, insondabile, senza interesse, autentico amore di amicizia”: questo amore di Gesù che chiama in diversi angoli del mondo, nella propria vocazione e nel proprio mestiere, che chiama il genitore, il figlio, la madre, il medico, l’insegnante, il religioso, lo studente, che chiama il povero e il ricco, il carnefice e la vittima, questo amore gratuito e autentico dobbiamo mostrare con maggiore coraggio al mondo. L’amore di Dio grida in contesti inaspettati, in scenari sempre più complessi, tra distrazioni sempre più suadenti, non solo nella prova; cerca nella gioia, scava nella verità, l’amore di Dio: chiede fatica e poi ricompensa in profondità e robustezza. L’amore di Dio fa festeggiare anche l’uomo uscito dalla più difficile delle situazioni. L’amore di Dio esce e cerca. Usciamo e cerchiamo anche noi. Questa chiamata di Gesù rischia di essere mediata dalle troppe parole o dai formalismi/pregiudizi che come comunità e movimenti cristiani abbiamo frapposto, noi e non Dio, alla chiamata per tutti alla santità. Uscire, movimento fisico e spirituale, è la situazione del sé che si sposta per andare verso qualcos’altro, qualcun altro. Nella fede questa è caratteristica essenziale: Gesù fermo è sempre circondato da qualcuno, o prega, oppure, nell’atto di compiere la volontà del Padre, ha le braccia crocifisse sulla croce ma aperte. Se non ospitiamo dentro la nostra vita cristiana ogni situazione al di fuori di noi non riusciremo a vedere la realtà, saremo solo capaci di giudicarla; se non ospitiamo nella testa e nel cuore ciò che è fuori, allora non saremo una generazione capace di far sperimentare ad altri l’amore di Gesù. Questo, con sconcertante semplicità, hanno fatto i santi. E usciamo curando “l’educazione, la gentilezza, la lealtà, il senso di ottimismo e l’onestà. Quanto più solida sarà la base naturale tanto più può essere elevato l’edificio spirituale”. Usciamo con Gesù e per Gesù, usciamo rivestiti di audacia, con la stessa audacia dei santi testimoni, usciamo verso i fratelli garantiti dal fatto che “andando a Lui, parlando a Lui, proprio perché andiamo a Lui, ci darà grazie maggiori di quelle che non ci darebbe se rimanessimo nelle nostre case”. Così la vocazione alla santità “non passa sulle nostre teste, ma intesse la realtà quotidiana, penetra e trasforma ogni momento e ogni situazione”. I santi nostri fratelli, i santi contemporanei che sentiamo più vicini per similarità di esperienze, hanno tessuto l’amore di Dio senza stanchezza, senza pose, senza schemi, solo con volontà, impegno, pazienza verso i propri limiti, sentendosi amati anche di fronte all’esperienza del fallimento. I santi non hanno tirato somme o fatto verifiche sugli altri prima di farle su se stessi, si sono distinti per una carità sempre ancorata alla trascendenza. Nel volto di Cristo Gesù tutti i volti, i lineamenti come pure le cicatrici, conosciamo gli stereotipi di felicità che il mondo ci presenta, i limiti del nostro tempo; cerchiamo allora di dare alla città terrena un volto meno ingiusto e nella migliore delle ipotesi un volto giusto, ispirati da una “dialettica del massimo” che esalta, purifica e valorizza le virtù umane autentiche, porta la preghiera dove non si prega, cerca spazi nuovi contro l’egoismo individuale, ragiona sul noi e non sul sé. Consapevoli delle nostre debolezze, mentre il Papa spalanca le porte della Chiesa noi spalanchiamo il nostro cuore e il nostro Movimento all’incontro con le nuove sfide del mondo. Tentiamo di cogliere gli spunti del tempo e preghiamo Dio per rafforzarci, usciamo per incontrare, radunare e servire. Diciamo che la santità è qualcosa di molto più concreto di quanto immaginiamo.