Da qualche anno ho il libro degli Scritti di Suor Elia di San Clemente nella mia biblioteca, da pochi mesi li scorro pian piano … oggi desidero condividerli con voi.
È troppo bello riscoprire che la famiglia (e il Sinodo appena celebrato ce lo ricorda) è un dono grande, una culla della fede, una compagnia nella ricerca e nella realizzazione del disegno di Dio che vuole la piena realizzazione di ciascuno di noi.
Elia (Teodora) nasce da una famiglia autenticamente cristiana. I suoi genitori Giuseppe Fracasso e Pasqua Cianci sono stati per lei i veri catechisti, attenti accompagnatori nella fede. Il papà impegnato nel suo lavoro di pittore non trascurava la preghiera in famiglia del santo rosario e la mamma istruiva i suoi piccoli parlando loro di Dio, degli angeli, dei santi. A soli due anni – come era consuetudine allora – Dora riceve la cresima; la grazia lavora nella sua anima, a cinque anni in un sogno le è dato, secondo l’interpretazione della mamma, di vedere la Madonna e subito dopo di percepire la chiamata alla vita religiosa. Potrebbe sorgere in noi il sospetto di una esaltazione infantile, mentre invece ci raggiunge la certezza che siamo immersi da sempre nel mistero dell’amore di Dio che si manifesta a noi, e a chi è aperto, docile, sensibile, ‘piccolo’, è fatto dono di esserne consapevoli. Così è successo a Suor Elia.
Il suo mondo interiore è presto popolato da una famiglia spirituale con la quale realmente condivide il suo percorso di fede e di donazione. La sua affinità con Teresa del Bambino Gesù è evidente. La semplicità delle loro vite, l’esperienza della debolezza come risorsa d’amore, la comune scelta del Carmelo, la passione per i fratelli, caratterizzano entrambe e sono per tutti noi una proposta di vita.
Dio è per loro tenerezza paterna; anzi, come tante indicazioni bibliche suggeriscono, di tipo materno. « Il buon Dio è per me una tenerissima madre », scriverà Suor Elia quattro giorni prima della morte al suo direttore spirituale.
La breve vita di Suor Elia, dopo l’educazione ricevuta presso le Suore Stimmatine, si svolge nel Carmelo di Bari, dove diventa carmelitana scalza il 4 dicembre 1921.
Il ‘piccolo sorriso del buon Dio’ – come la definisce il Card. Magrassi quando vengono dichiarate le sue virtù eroiche – vive nel nascondimento e nell’offerta silenziosa fino a mezzogiorno del 25 dicembre 1927, quando muore a causa di una encefalite, curata come fosse una banale influenza.
Per cogliere alcuni dei suoi tratti spirituali attingiamo direttamente al suo Diario e ai suoi Scritti.
Mi sembra di cogliere in questa frase scritta il giorno della sua professione religiosa la sintesi della sua esperienza: Sola ai piedi del mio Crocifisso Signore, lo guardai lungamente, e in quello sguardo vidi che era tutta la mia vita. Una vita in uno sguardo, uno sguardo al Crocifisso Signore.
La croce è il costante riferimento della sua vita. Si sente una bimba che deve salire un monte (che è insieme il Carmelo e il Calvario): Ai piedi di questo monte, io scorgo una bimba sorridente in volto, e cogli occhietti, guarda meravigliata, l’alto monte che le convien salire. Per bastone ha una croce… Le spine che i piccoli piedini insanguinati calpestano non le arrestano il cammino, la tempesta a cui va incontro non la spaventa, più ella si stringe alla sua croce qual porto di salvezza… La tua croce mi sarà di conforto nel breve pellegrinaggio della vita; crocifissa con te voglio amarti fino alla morte; mi addormento stretta alla croce del mio Gesù, baciata dai candidi raggi della luna che da piccole fessure della finestra penetrano nella cella per illuminarla…
Abbandonata alla croce, si lascia andare totalmente alla volontà di Dio, che faccia di lei quello che vuole; lo dice con il suo linguaggio della piccolezza: Fate di me, o mio piccolo Gesù, una pallina oggetto dei Vostri trastulli, calpestatela sotto i Vostri Adorabili piedini, lasciatela ove vi piace, essa ritornerà sempre al suo centro.
Sr. Elia riesce a cogliere nel suo stile di semplicità e poeticità la grande verità teologica del ‘forte’ che si è fatto ‘debole’, del divino che annientò se stesso (Fil 2,7), della ‘grandezza’ e della ‘piccolezza’ di Dio.
Così scrive: Senti, Gesù mio, voglio farti una confidenza… Tu ben mi conosci e non ti è occulta la mia generale impotenza. Ebbene, è proprio la debolezza che si appoggia alla fortezza, l’impotenza alla potenza divina… in breve, è proprio la mia piccolezza che mi rende felice e mi fa vivere in Te!
Nella vita della beata tutto è grazia, è fonte di gioia, anche le amarezze, le incomprensioni, le malattie, l’Eucaristia e paradigma di ogni suo giorno, trova il coraggio dell’offerta come vittima pur nella percezione continua del suo limite, della sua fragilità .
Scrive nel suo Diario: Le piccole vittime d’amore non raccolgono mai spine, ma sempre rose, perché esse ben sanno che tutto viene dall’amore. La loro vita è soave, gioconda, di tutto ne godono; la loro croce è coperta di fiori e vedendosi piccolissime anime ne sono grandemente felici, sprigionando dai loro cuori quella delicata e silenziosa nota dell’amore… La vittima d’amore non coglie spine, ma sempre rose… Essa va ripetendo fra se stessa: “dentro di me vi è il cielo, in me vi è la vita, io posseggo l’amore”. E difatti proprio così, per la sua vita immolata ben si può chiamare anima Eucaristica….
Realizza la dimensione missionaria del suo battesimo in una ardente preghiera, nel silenzio, nel nascondimento:
La mia missione – scrive Suor Elia - è immolarmi gioiosamente affinché il mio Dio sia conosciuto e amato da tutto il mondo.
Così si rivolge al suo Signore: Fate, o mio Dio, che il lavoro dell’anima mia si compia nell’ombra, lungi dagli sguardi; si compia nel silenzio, lungi dagli applausi; si compia anche nell’oblio della mia povera persona, purché l’accettiate voi, o mio Dio. E aggiunge: Se una sete ardente sente l’anima mia è quella di immolarmi in ogni istante della mia vita nel silenzio di tutto il creato ed anche nell’oblio di me stessa. … Compresi che per condurre anime a Dio non era necessario compiere opere grandi; anzi, era proprio l’immolazione completa di tutta me stessa che mi chiedeva il buon Gesù: compiuta nel silenzio d’ogni cosa… Nella solitudine del mio cuore potevo salvare anch’io un numero infinito d’anime… Con la preghiera intima, continua e col distacco da ogni cosa. Una vita immersa nel Cielo della Trinità che la abita: Mio Dio, io vi contemplo nel cielo dell’anima mia, e m’inabisso in Voi… Tutto mi parla di Te, Dio mio.
Voglio passare la mia vita in un profondo silenzio per ascoltare nell’intimo dell’anima la delicata voce del mio dolce Gesù.
Anime io cercherò per lanciarle nel mare dell’Amore Misericordioso: anime di peccatori, ma soprattutto anime di sacerdoti e religiosi. A questo scopo la mia esistenza si spegnerà lentamente, consumandosi come l’olio della lampada che veglia presso il Tabernacolo.
Sento la vastità della mia anima, la sua infinita grandezza, che non basta l’immensità di questo mondo a contenere: essa fu creata per perdersi in Te, mio Dio, perché tu solo sei grande, infinito e perciò tu solo puoi renderla pienamente felice.
Suor Elia di San Clemente, ‘perduta in Dio’, come amava definirsi – ci invita a vivere nell’amore, a vivere anche noi una profonda intimità con Dio, a lasciare che Lui scriva nei nostri giorni una originale storia di amore.
Voglio poggiare il mio capo sulle tue ginocchia ed ivi riposare e nel dolce riposo parlarti, manifestarti tutto il mio amore… Ma cosa potrò mai dire se appena la lingua si scioglie? Ripeterò allora mille e mille volte senza stancarmi mai quella parola che Tu stesso mi hai insegnato: T’amo, t’amo!
Teresa Carboni