L’autenticamente umano conduce a Dio? Questa affermazione opportunamente riportata nel sussidio di formazione permanente del mese di novembre è una buona introduzione al tema che il Movimento Pro Sanctitate ha scelto per questo anno, “Storia degli uomini, storia di Dio”.
Il nome di Dio è molto abusato. In suo nome si compiono i più efferati delitti contro l’uomo. Che sia proprio la fede religiosa a costituire un pericolo per l’umanità? Non mancano esempi di questo modo di pensare. È pur vero che in un certo senso, “God is back”: la trascendenza viene sovente riconosciuta come dimensione propria e irriducibile dell’uomo. Si tratta di due dati apparentemente discordanti: da una parte aumenta la diffidenza contro la fede, considerata foriera di intolleranza e fanatismo se non di peggio, dall’altra si mostra una maggiore comprensione per il fenomeno religioso. Come spiegarsi la contraddizione di questi due fenomeni? In realtà, non la religione ma la spiritualità viene legittimata. Una spiritualità individualistica, centrata sulla ricerca del benessere personale, e quindi sull’acquietamento psichico.
Una spiritualità che taglia fuori due aspetti insopprimibili dell’essere umano: la dimensione sociale dell’uomo e per logica conseguenza la sua storicità. “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2, 18). Il versetto biblico non fonda solamente la sua dimensione naturale e il dimorfismo sessuale ma ne indica la natura di “animale sociale”, secondo la celebre definizione di Aristotele. Ecco, già nella concordanza di questa dimensione antropologica fra l’indagine filosofica e la rivelazione possiamo trovare una conferma della verità dell’asserzione iniziale: sì, l’autenticamente umano conduce a Dio. Meglio ancora, Dio ne costituisce l’essenza e, nella storia della rivelazione, svela se stesso – cioè la sua essenza, “simile” a quella dell’uomo. Dio svela in verità l’uomo all’uomo.
Perché Dio, che aveva già svelato se stesso nella natura, risponde all’atto di disobbedienza dell’uomo entrando, con gesto di amore, nella sua storia: “Nella pienezza dei tempi” (Ef 1, 10) vi entra personalmente cambiandone radicalmente l’essenza. La storia degli uomini diventa storia di Dio. “Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo. Solo Lui lo sa” (San Giovanni Paolo II, 22 ottobre 1978).
I cristiani possono allora senza paura rispondere alla implicita accusa che viene rivolta alle religioni proprio in funzione delle straordinarie particolarità della loro fede, la Trinità e l’Incarnazione. La nostra misura umana e divina è una persona, Gesù di Nazareth, e nient’altro. “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1Cor 2, 2).
Questo Dio crocifisso che “è amore” (1Gv, 48) ha portato nella storia dell’uomo “la speranza che non delude” (Rm 5, 5), ha riconciliato l’Assoluto e la Storia, dando a questa un “senso” che è la progressiva umanizzazione dell’umanità.
Così, in realtà, non solo la Fede è operoso cammino di carità nella strada percorsa dall’umanità; non solo la Fede è “sale” (Mt 5, 13) della storia. Essa è anche autentico motore di modifica delle condizioni sociali, di una liberazione tanto spirituale quanto materiale.
È proprio con un occhio a questa realtà che il nostro bimestrale da questo numero vede comparire una nuova sezione che possiamo definire di “attualità”. Siamo, e restiamo, quello che è scritto sulla nostra testata: bimestrale di sussidi spirituali.
Ora, le parole del Papa riportate in questo numero – “uscire da sé …è il cammino che Dio ha indicato agli uomini… Un cristiano che non cammina, io non lo capisco!” – sembrano quasi echeggiare quanto il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta ci ripropone nei suoi scritti che ricordiamo nella sezione a lui dedicata: “cammina dinanzi a me e sii perfetto” (Gen 17, 1). Camminare dinanzi a Dio vuol dire non interrompere mai il dialogo muto tra Dio e l’uomo, come c’è stato tra Dio e Abramo e farsi carico della missione da parte di Dio e di Cristo. Esiste infatti accanto alla missione straordinaria, una missione ordinaria, per cui ogni cristiano è sacramentalmente inviato da Dio e da Cristo a compiere un lavoro, una missione, una testimonianza in seno alla Chiesa. S. Paolo diceva: noi siamo gli ambasciatori di Cristo (2Cor 5, 20).
Ambasciatori dove? Nel mondo, nella storia in cui si è Lui stesso calato. La spiritualità del cristiano, la sua preghiera, il suo concreto impegno di carità non possono che arricchirsi nella riflessione sui fenomeni che la storia – e dunque la cronaca – gli presenta ogni giorno. Siamo in chiusura dell’anno liturgico, ci si avvia all’Avvento e al Natale, data anagrafica dell’entrata di Dio nella storia umana; non nella essenza umana, che è già dal principio simile a Lui: proprio nella storia, quindi nella carne umana e nella sua vita concreta. È proprio un fatto, non un simbolo: il tal giorno sono state riscosse le tasse sulla casa, il talaltro si è costituito il nuovo governo, l’altro ancora Dio si è fatto uomo. E chiede a noi di donarlo ai fratelli nella santità della nostra vita quotidiana, come leggiamo nel dialogo eucaristico del giorno di Natale.
Un autentico testimone di santità, il vescovo Salvatore Boccaccio, ce lo ricorda nelle pagine che abbiamo a lui dedicate: “andate, questa è la missione, non rimanete nel tempio, uscite, cercate la vostra Chiesa fuori del tempio”.
A Maria Santissima, che celebriamo il giorno dell’Immacolata, affidiamo il desiderio di vivere come figli santi che continuano l’opera del Padre, che “fanno la loro parte” nel progetto di Dio, rendendo la storia degli uomini sempre più e meglio storia di Dio: Lei lo ha fatto, doni Lei, come ci ha insegnato a pregare il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta, la fiducia di diventare santi.
Alberto Hermanin