“Amministratori della multiforme grazia di Dio” (1Pietro 4, 10)
“O iubelo del core, che fai cantar d’amore!// Quanno iubel se scalda, sì fa l’omo cantare// e la lengua barbaglia e non sa che parlare// dentro non pò celare, tant’è granne ’l dolzore”.
Così canta la sua estasi mistica Iacopone da Todi, francescano, tra i padri della poesia italiana. La citazione di un grande mistico e poeta ci sembra adatta per introdurre questa riflessione sulla creatività umana come narrazione di Dio. All’apparenza, la mistica sembra proprio il contrario della creatività, che per sua natura è azione. Noi però non siamo, come cristiani, aderenti ad una scuola mistica che contrapponga l’azione alla meditazione: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. (Mt 7, 21).
Dunque, “fare” la verità, si potrebbe dire, anche nella creatività, cioè soprattutto in quella parte della nostra vita che ci vede impegnati non soltanto per procurarci i mezzi materiali di sussistenza, ma anche per creare condizioni di pienezza di sé, di soddisfazione: insomma quello che nel linguaggio comune di oggi si chiama il tempo libero, il quale è una caratteristica, e non delle meno importanti, di ciò che potremmo definire il tempo umano.
In ogni tempo, ma specialmente nel nostro, il “tempo libero” è variamente minacciato dalla tendenza demoniaca all’azione per l’azione, alla compulsività, vorrei dire al “rumore”: da una parte la “società liquida” ha da tempo scoperto che esso è la chiave del nuovo posizionamento sociale individuale, fondato assai più sui consumi che sulla creazione di prodotti. E mette a disposizione di masse crescenti porzioni sempre più abbondanti di “nulla”, che siamo chiamati a consumare per sostenere il confronto con gli altri e per evitare che, nel silenzio, tornino a farsi sentire i fondamenti della personalità che cercano il bello non meno del bene, e che anzi ne sentono la profonda consustanzialità.
Dall’altra parte, la crisi etica funzionale a questo quadro sociale comporta l’aumento esponenziale delle possibilità ritenute accettabili, alle quali al più si richiede di essere “autentiche”: questa richiesta di autenticità, cui sembra essersi talvolta ridotta la filosofia contemporanea, è tanto più richiesta quanto in verità inautentico è sempre più il mondo che assorbe in modo crescente le energie umane e specialmente quelle dei giovani: forse si dovrebbe meglio riflettere sul significato di parole usate ormai nel vocabolario comune come quello di realtà virtuale, dove l’aggettivo è in rapida decadenza di fronte alla sovrabbondanza del sostantivo.
Ora, non si tratta per noi di “demonizzare” la contemporaneità ma di “cristianizzarla” operando una “inculturazione” che è nelle corde più feconde della tradizione cattolica: obbedendo alle felici intuizioni del Concilio Vaticano II come pure all’attuale Magistero papale che proprio in questo campo esplicitamente ci invita a non avere paura di “modalità non convenzionali di bellezza”. Sembra che l’esortazione della Evangelii Gaudium faccia eco a quanto scritto della Prima Lettera di Pietro, che esorta i cristiani ad essere “buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio” vivendo “secondo la grazia ricevuta” e “mettendola a servizio degli altri”, dove l’accento cade proprio sulle “multiformità” della Grazia (cfr 1Pt 4, 10).
Nella dimensione della fede, l’opera creativa, libera, è un contributo essenziale alla cristianizzazione, cioè alla santificazione del mondo, continuazione dell’opera del Salvatore, “creazione di nuova carne per la trasmissione della Parola”, come ci dice la stessa Esortazione Apostolica.
Allora si può ritornare, nel discorso sulla creatività del tempo libero, alle belle espressioni di Fra Iacopone: il giubilo del Cuore fa cantare d’amore!
Direi, con due corollari che sembrano rilevanti: il primo, che l’evangelizzazione della creatività, del tempo libero, che nasce dal giubilo del cuore del credente è una bella risposta a quel “dolorismo” cui si vorrebbe ridurre il cristianesimo da parte di chi rifiuta la possibilità di riconoscere la stessa essenza al bene e al bello, di cui invece Cristo è icona unitaria e inscindibile.
Dall’altra, se è facile constatare come il rumoroso “rilassarsi” delle società opulente sia sempre meno rilassante, e anzi introduca viepiù elementi di concorrenzialità creando fisicamente e moralmente enormi quantità di rifiuti e di scarti (si pensi quanto detto da Papa Francesco sulla “cultura dello scarto”), ebbene in questo quadro “l’amministrazione della Grazia per metterla al servizio degli altri” è in modo ancora più evidente atto rivoluzionario di amore, di somiglianza con Dio, di prosecuzione della sua opera; ma, laicamente, e per usare una parola che tuttora è capace di emozionare, è soprattutto un atto concreto, davvero “autentico”, di libertà. Perché “la Verità vi farà liberi” (Gv 8, 32).
Alberto Hermanin