Evangelizzare il mondo, l’annuncio della Buona Novella, hanno un senso solo se sono purificati da condizionamenti umani e hanno al centro la narrazione veritiera dell’immagine divina. Per far questo c’è bisogno di maestri, ricchi di Spirito Santo e poveri di tutto il resto. Testimoni che hanno saputo morire a loro stessi per far spazio a Cristo, i “piccoli” del Vangelo, per condividere con chi ha orecchie per intendere la grandezza di Dio. In questo senso la narratrice assoluta di Dio è la Madonna, che è perfettamente inserita nel cuore della Trinità e ne fa trasparire la dolcezza e l’amore senza metterci niente di suo, se non una totale ubbidiente umiltà.
Narrare Dio
Nessuno è in grado di narrare Dio perché Dio travalica l’essere umano di una misura incolmabile. Nessuno può narrare Dio perché nessuno conosce, ha familiarità, possiede la visione di Dio. Nessuno, a meno che Dio stesso non si comunichi e chi lo riceve possa parlarne ad altri. Quindi la narrazione di Dio è essenzialmente un’apertura a Dio. È lasciarsi ricolmare per poi traboccare verso il prossimo.
“Dio nessuno lo conosce, proprio il Figlio che è nel seno del Padre ce l’ha rivelato” (Gv 1, 1-18). Ecco quindi che narrare Dio significa entrare in una relazione profonda con Cristo, ascoltare la sua parola che ci racconta del Padre, aprire il proprio cuore alla presenza dello Spirito Santo, e poi illuminare il mondo con la luce della verità ricevuta. Narrare Dio è il frutto della preghiera, di un’accesa vita spirituale, di un silenzio del cuore in cui l’Eterno parla e l’uomo si lascia amare. Narrare Dio è il canto di chi vive nella Trinità e ne dona l’eco.
È inevitabile, quando parliamo di Dio, narrare la nostra personale esperienza di Lui: perché, proprio per il fatto che è immensamente più grande di noi uomini, non possiamo contenerlo e quindi raccontarlo. Narrare la nostra esperienza di Dio è comunque una testimonianza dell’amore che Egli ha per noi figli.
Spesso si sente l’espressione “Dio secondo me”: questa espressione – che può portare gravemente fuori strada, se sottintende una visione soggettiva di Dio – deve invece esprimere il fatto che Egli ci si rivela progressivamente, in proporzione a ciò che possiamo comprendere man mano che cresciamo nella fede e maturiamo nel rapporto con Lui. All’interno di un rapporto autentico con Dio diventiamo gradualmente più consapevoli della Divina Presenza nella storia degli uomini e nostra in particolare. Così ci apriamo la conoscenza di noi stessi nella Verità di ciò che siamo, nel bene e nel male, e in questo senso possiamo dire che è piuttosto Dio che narra Se stesso a noi e, ad un livello ancora più profondo, possiamo riconoscere con la Gaudium et Spes che è Lui che, svelandosi a noi, ci svela a noi stessi e ci forma con la sua straordinaria pedagogia, liberandoci da una visione soggettiva e distorta della verità.
Il luogo
Emerge con chiarezza un fatto: possiamo narrare Dio nella misura in cui aderiamo al suo progetto su di noi. In altre parole, tanto più rispondiamo alla nostra vocazione realizzando i talenti che Lui ci ha dato, tanto più siamo nelle condizioni di offrire agli altri il capolavoro del suo amore. La famiglia è il “luogo” deputato per questa operazione alchemica: la trasmutazione del metallo vile (l’uomo vecchio) in oro (l’uomo nuovo redento da Cristo). Questo è possibile in quanto la famiglia è Chiesa domestica, specchio della Trinità, icona stessa del Cuore Misericordioso di Cristo.
Attraverso la famiglia Dio ha seminato se stesso nel cuore dei suoi figli. Nella famiglia i figli sperimentano le virtù del Padre, si sforzano di farle proprie e di lasciarsi plasmare dalla pedagogia divina. Sempre nella famiglia cristiana ci si abitua all’ascolto dello Spirito e all’esercizio della creatività dell’amore. Nella famiglia si viene educati alla libertà e alla responsabilità. In famiglia i bambini diventano adulti nel corpo, nella psiche e nell’anima, coscienti, capaci di seguire la strada di Dio e in questa di realizzare pienamente se stessi e di diventare narratori di Dio.
Nell’attuale società scristianizzata e secolarizzata, parlare in questo modo della famiglia appare anacronistico. Oggi che la regola assoluta è quella del relativismo, regola interiorizzata e paradossalmente assolutizzata, c’è un profondo rifiuto verso la famiglia quale Dio l’ha voluta. Eppure le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Nel nostro tempo la famiglia è sottoposta ad ogni genere di persecuzione. Leggi, mode, comunicazioni, modelli televisivi, stili di vita, tutto è usato per demolire la famiglia. C’è chi lo fa consapevolmente e chi se ne rende complice per ignoranza. Sta di fatto però, che se si demolisce la famiglia si demolisce la società e gli uomini che ne fanno parte.
Nessuno è al riparo da questa persecuzione, che tende all’esaltazione dell’individualismo, all’egoistica divisione, alla cultura del sospetto e della critica continua, al disprezzo della vita umana, all’amnesia della religione. Nessuno è al riparo perché tutti gli sforzi del nemico sono finalizzati alla distruzione dell’idea stessa di famiglia.
Chiunque si rende conto che il tessuto sociale è lacero e strappato. Perché sono sempre di più le famiglie che si sgretolano e sono sempre di più le coppie che non diventeranno mai famiglia. La famiglia forma il tessuto connettivo della società, è il serbatoio delle risorse migliori, è l’incubatrice dei progetti più validi per il futuro, è il luogo dell’apprendimento e della memoria. Se cade la famiglia, la società perde la memoria, le conoscenze, i progetti, le risorse. La società diventa una massa di individui slegati e in lotta tra loro. L’uomo diventa uomo solo nella famiglia, attraverso una volontà d’amore e di accoglienza in qualsiasi situazione si trova.
La famiglia non è un’istituzione umana. Solo Dio poteva creare un luogo dove più persone si donano l’una all’altra e tutte ne escono più libere e arricchite. È la straordinaria capacità dell’amore di arricchire innanzitutto chi ama e poi chi è amato. È la meravigliosa caratteristica di Dio, che essendo amore è puro dono che sempre si rinnova.
In questo senso la famiglia è il luogo privilegiato dove ogni persona può sperimentare la realtà provvidenziale, rassicurante e gratuita di Dio.
In famiglia si impara ad avere un giudizio sulla vita, sulla realtà, su se stessi e su tutto ciò che ci circonda; non il giudizio comunemente inteso, che sottintende sempre una critica (quasi mai costruttiva) degli altri, ma il giudizio nella sua accezione migliore, che riguarda il fatto di saper distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è per se stessi e per quanti ci sono affidati. Il giudizio è ciò che otteniamo quando ci confrontiamo con la Verità e, alla luce di essa, riordiniamo tutto ciò che ci riguarda.
Il giudizio, che i figli possono imparare solo in famiglia, è ciò che permetterà loro, da adulti, di essere persone responsabili e mature, capaci di scelte coraggiose e controcorrente, persone solide affettivamente e emotivamente, che difficilmente si lasceranno trascinare, persone che sapranno leggere la realtà nella sua verità, nel bene e nel male, e che difficilmente cadranno nelle trappole delle dipendenze che oggi imperversano o nell’inganno di raccontarsi una vita e una favola che non esistono. Al contrario quando tutto ciò non si impara in famiglia, si diventa adulti simili a canne al vento, incapaci di prendere delle decisioni per il proprio vero bene e affettivamente ed emotivamente fragili e dipendenti.
Non ci sono alternative alla famiglia quale Dio l’ha voluta, basata su una scelta di fedeltà assoluta tra un uomo e una donna. Tutte le altre realizzazioni, frutti della fantasia e della comodità, sono delle tragiche macchiette. La famiglia, però, è fatta di fragili peccatori, e per questo ogni giorno richiede uno sforzo della volontà oltre che del cuore, per rimanere fedeli alla propria vocazione all’amore. Per questo la famiglia è una palestra di vita cristiana e una scuola di santificazione.
Essere un narratore
Narrare Dio è il racconto, fatto carne e vita, delle virtù di Cristo, e presuppone quindi una maturità umana e cristiana perché il racconto non sia un vuoto esercizio di belle parole prive di ogni attrattiva, ma un contagio entusiasmante di fede. La famiglia è l’unico posto dove questa maturità umana e cristiana si riceve come seme, si fa crescere, si incarna nella coerenza della quotidianità.
Ma quali sono gli elementi di questa maturità? Essenzialmente tre: l’amore, compreso nella sua natura e vissuto nella concretezza, la libertà, come esercizio di conoscenza e di adesione al Bene, l’umiltà, come pratica coraggiosa del Vero.
L’amore, la libertà e l’umiltà sono come i segni distintivi sulla carta d’identità di un cristiano. Sono quei tratti che apparentemente possono sembrare patrimonio di ogni uomo e raggiungibili anche da chi non è credente, ma invece non solo non sono praticabili, ma non sono nemmeno comprensibili senza la grazia dello Spirito Santo. Perché l’Amore è la natura stessa di Dio, la libertà è il frutto della verità, cioè di Cristo (Gv 8, 31-47; Gv 14, 1-6), e l’umiltà richiede un superamento dell’orgoglio che l’uomo da solo non può darsi.
Sia l’amore, come la verità che l’umiltà, sono oggetto di fraintendimento, anche in ambiente ecclesiale. Sono parole di uso comune, di cui ognuno ritiene di conoscere il significato, ma poi, quando si esce dai luoghi comuni, ci si accorge che non sono termini dal significato così scontato.
Per quanto riguarda l’amore, l’errore comune che si riscontra è enfatizzare eccessivamente la parte legata al sentimento e ignorare invece ciò che appartiene alla sfera della volontà e della decisione personale. Certo, se facciamo coincidere l’amore sempre e soltanto con l’emozione o il sentimento, le nostre azioni saranno superficiali, impulsive, fuori luogo e con un orizzonte ristretto. L’amore, invece, dobbiamo ricordarcelo e ricordarlo, è essenzialmente una decisione. È la decisione di fare il bene dell’altro. Il che significa che occorre un’opera di discernimento per capire qual è il bene per l’altra persona, valutare l’opportunità di agire, e poi operare fattivamente per donare questo bene, anche se per noi è scomodo e faticoso. Solo se comprendiamo l’amore in quest’ottica possiamo sperare di aderire al comando evangelico di amare tutti, anche i nemici. In famiglia, in una famiglia cristiana, si ha la possibilità e la grazia di imparare ad amare in questo modo, trovando la forza anche per dei no ove questi siano il bene dei nostri cari, trovando la forza del perdono, la forza per il sacrificio di sé per il bene degli altri.
La libertà è uno dei concetti più fraintesi. La maggior parte delle persone identifica la libertà come la possibilità di fare quello che si vuole. E non si accorgono che questa non è libertà, ma anarchia basata su un presupposto di relativismo, per cui il mio giudizio è la guida del mio comportamento e agisco in base a quello che i miei impulsi, ispiratori del mio giudizio, mi dicono. La libertà è invece la possibilità di decidere in base a criteri di bene e di male validi, oggettivi ed esterni alla persona, orientandosi ovviamente verso il bene: ma non quello immediato che tende al soddisfacimento dell’egoismo dell’Io, ma quello a lungo termine, un bene che guarda a Dio e si riferisce a Lui. Libertà è quindi discernere di volta in volta quale decisione mi avvicina di più alla volontà di Dio e al suo progetto su di me, per aderirvi pienamente. In famiglia si trovano quotidianamente occasioni per praticare la libertà, attraverso il dialogo comunitario e la forza che ci viene dalle persone che amiamo. Ma la libertà richiede anche la responsabilità, cioè il mantenimento di un comportamento coerente con la decisione presa e l’assunzione delle conseguenze in prima persona. In questo senso, la fedeltà conseguente all’impegno assunto nel matrimonio è il primo segno della libertà pienamente intesa: due persone decidono di amarsi e di esserci una per l’altra per tutta la vita, la loro fedeltà e la capacità di superare crisi e incomprensioni in nome della coerenza alla scelta fatta è il segno più alto della libertà cristiana, ed è esso stesso insegnamento e formazione per i figli.
L’umiltà ha la forma dello specchio. L’uomo smette di confrontarsi con se stesso o con gli altri, si mette davanti a Dio e in Dio si guarda. In Dio si scopre debole, fragile, peccatore, misero e bisognoso di salvezza. In Dio si sente manchevole in ogni virtù, in Dio però non perde la speranza, perché vedendosi nella verità chiede perdono ed è salvato. L’umiltà facilita le relazioni personali, perché si smette di giudicare gli altri, si smette di competere, si riconoscono semplicemente i pregi degli altri, si sa chiedere scusa, si sa offrire e ricevere perdono. La famiglia è un luogo che per la sua stessa natura educa all’umiltà. Perché in famiglia ci si mostra per quello che si è, e pur con i reciproci difetti ci si ama; si occupa un posto, ma non è mai una proprietà privata; si assumono dei ruoli, ma sono sempre dei ruoli di servizio. Ovviamente, tutto questo se una famiglia vive la parola di Gesù che invita al perdono, al servizio e alla mitezza: una famiglia unita dal sentimento, ma non dal sacramento, non potrebbe mai realizzare un progetto duraturo.
Quando una persona inizia ad agire liberamente, ispirato da un amore umile, allora è in grado di manifestare la ricchezza della sua personalità umana, si arricchisce delle virtù soprannaturali, assume in sé i tratti del volto di Cristo e riesce a narrare Dio con il suo stesso esserci.
Spunti di riflessione
1. Sei tentato a volte di farti un’idea di “Dio secondo te”?
2. Nelle situazioni in cui la Verità mette in crisi le tue scelte, sei tentato di interpretare Dio in modo che sia più vicino alle tue scelte oppure ti lasci plasmare dalla luce della Verità?
3. Oggi prova ad amare un persona verso cui non nutri alcun sentimento, agendo solo con la tua volontà e con l’attenzione alle sue vere necessità.
4. Fai un esercizio di libertà: esamina te stesso riguardo una decisione da prendere. Interrogati in quale direzione stia il vero bene. Scegli in base non all’impulso del momento, ma alle conseguenze a lungo termine, e una volta scelto impegnati a rimanere coerente con quella decisione da ora in avanti.
5. Pensa ad una discussione avuta recentemente con qualche persona. Riesamina la questione cercando di individuare i tuoi torti se ce ne sono. In questo caso, ammettili e chiedi scusa. Se invece non trovi errori nel tuo modo di agire, prega per quella persona perché sia illuminata dalla luce della Verità.
6. Rifletti in quale magnifico modo Dio ha creato la famiglia, fondandola su un ordine di ruoli e funzioni, sullo scambio di talenti e risorse, arricchendola della capacità di praticare il vero amore, aiutando i suoi componenti ad agire nella libertà, facendone la cellula fondante del tessuto sociale.
7. Pensa a quali persone hai incontrato nella tua vita e chi tra esse ti ha dato l’impressione di “narrare Dio” con i suoi gesti. Rifletti sui piccoli segni attraverso i quali Dio si manifesta agli uomini
Silvio Rossi - Presidente dell’associazione
Kriterion-Famiglia e Persona. Mariaelena Giuliani - Vicepresidente
dell’associazione Kriterion-Famiglia e Persona