Rosetta Franzi era nata nel 1902 a Crova (Vercelli) e aveva sposato nel 1928 Giovanni Gheddo, nato nel 1900 a Viancino (Vercelli). Col matrimonio sono venuti a Tronzano dove siamo nati noi loro figli. Nel 1929 sono nato io, nel 1930 Francesco, nel 1931 Mario, nel 1933 la mamma ha avuto un aborto spontaneo e nel 1934 doveva partorire due gemelli. Invece è morta di parto, di polmonite e di setticemia, lei con i due gemellini, il 26 ottobre 1934.*
Rosetta Franzi veniva da una bella famiglia, seconda di quattro figlie. Si era diplomata insegnante elementare e ha speso la sua breve vita in famiglia nel servizio alla parrocchia e nella cura dei bambini, lasciando un forte ricordo di santità. Giovanni Gheddo era geometra e aveva fatto il militare negli ultimi mesi della prima guerra mondiale, esercitando poi a Tronzano la sua professione. Anche lui veniva da un’ottima famiglia. Era un militante d’Azione Cattolica: uomo autorevole, saggio e buono, in paese era chiamato per portare la pace in famiglie divise o quando c’erano liti e dissensi.
Dopo la morte di mamma Rosetta, la nostra famiglia si ricompose con papà, nonna Anna e le sue figlie, zia Luigia e zia Adelaide: si pregava assieme, c’era una bella unità fra i numerosi parenti e tanti buoni esempi. Papà Giovanni è andato in guerra nel 1941, mentre come vedovo e padre di tre minorenni avrebbe dovuto esserne dispensato: era una punizione per la sua militanza nell’Azione Cattolica e per non aver mai voluto iscriversi al Partito Fascista, a quel tempo atto obbligatorio per uno in età di lavoro e in vista come lui. A Tronzano era presidente dell’Azione cattolica, economo delle opere parrocchiali, la casa di riposo per anziani e l’asilo infantile, geometra eletto dagli agricoltori come direttore ed economo del “Distretto irriguo Ovest Sesia” (il fiume Sesia) di Tronzano, per la distribuzione delle acque del canale Cavour nelle risaie. Dalla Russia papà ha scritto delle lettere che testimoniano la sua fede e santità di vita. Èmorto in Urss con un atto di eroismo che ricorda quello di San Massimiliano Kolbe. Era capitano d’artiglieria della divisione Cosseria in prima linea sul fiume Don, e nella sua postazione c’era un ospedaletto da campo con 35 feriti intrasportabili. Quando i russi sfondano le linee italiane il 17 dicembre 1942 (a 35 gradi sottozero!) l’alto comando ordina la ritirata. Con i feriti gravi doveva Testimonianza eroica di genitori normali rimanere l’ufficiale più giovane, il sottotenente Mino Pretti di Vercelli. Papà gli dice: “Tu sei giovane e devi farti una vita. Io ho i miei figli in buone mani. Scappa che rimango io”. Pretti, a guerra finita, è venuto a Tronzano a ringraziare: vostro papà mi ha salvato la vita.*
Rosetta e Giovanni sono morti molto giovani: 31 anni e pochi mesi lei, 42 anni lui! Hanno vissuto assieme come marito e moglie solo sei anni. Una vita ordinaria ma vissuta con intensità: in pochi anni hanno lasciato una forte traccia di bontà e santità in chi li ha conosciuti. La loro santità sembrava ingenuità, ma era saggezza evangelica. Nella loro vita non c’è nessun fatto straordinario, visioni, miracoli. Potrebbe essere la storia di un matrimonio qualsiasi, ma era profondamente diversa. Hanno dimostrato che la santità è vivere il Vangelo in ogni situazione, tra gioie e sofferenze, anche nei momenti più tragici.
Il matrimonio dei due servi di Dio era un vero matrimonio di amore e per sempre, con l’impegno prioritario e totale nella famiglia, nell’amore coniugale e ai figli, la carità e il servizio alla Chiesa. La solidità dell’amore di Rosetta e Giovanni era una roccia perché fondata su Dio, sull’amore a Dio, sull’amore umano ma fondato su Dio: quindi anche le difficoltà della vita, le inevitabili incomprensioni non scuotevano il loro matrimonio, ma lo rendevano più forte, più sperimentato. La santità di Rosetta e Giovanni era autentica perché non li chiudeva in se stessi, ma li apriva al prossimo, specie ai più poveri. I testimoni ricordano che da Rosetta andavano diversi poveri a chiedere e lei non rifiutava mai di aiutarli o dava loro da mangiare. Giovanni era chiamato “il paciere”, quando in paese c’era un contrasto in una famiglia o tra famiglie chiamavano lui perché sapeva parlare di pace e di perdono in modo convincente. Era chiamato anche “il geometra dei poveri”, perché faceva gratis o per poco le sue prestazioni per i poveri e a tutti chiedeva il giusto.
Mamma Rosetta e papà Giovanni ci hanno trasmesso una grande fiducia in Dio, nella Provvidenza, nel suo amore. Ci sono espressioni che sintetizzano bene e i sentimenti di mamma e papà e sono il segreto della loro santità: “La cosa più importante è fare la volontà di Dio” diceva mamma Rosetta, papà Giovanni aggiungeva: “Siamo sempre nelle mani di Dio”. “Nella nostra famiglia, la volontà di Dio era la trama del vivere quotidiano …quasi un sesto senso della vita, una sicurezza che veniva dal profondo, dalla fede e dal cercare la volontà di Dio, la comunione con Dio”. *
Nella prefazione a “Questi santi genitori”, mons. Enrico Masseroni, ha scritto: “Considero la “straordinaria ordinarietà” dell’avventura umana e cristiana dei genitori Gheddo come un dono singolare per gli uomini e le donne di questo tempo; un esempio di vita evangelica possibile a tutti, una testimonianza incoraggiante soprattutto per tanti genitori in affanno di fronte alle tante violente aggressioni di una cultura attraversata dai venti contro la famiglia: “In un’epoca di crisi, o meglio, nel cuore di una crisi epocale, non è permesso ai cristiani di essere tiepidi. I cristiani non hanno altro compito che la santità” (Simone Weil)”.
*da: La testimonianza eroica di genitori “normali” – Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo,
Servi di Dio di Padre Piero Gheddo, Missionario del Pime