Nasce a Roccasecca, figlio cadetto di Landolfo conte d’Aquino. Dai 5 ai 10 anni d’età viene educato dai monaci benedettini nell’abbazia di Montecassino. Prosegue gli studi a Napoli dove conosce i frati Domenicani e a 17 anni decide di entrare nell’Ordine dei Predicatori. È un duro colpo per i familiari che speravano che lui prendesse in mano le sorti del casato. I fratelli lo catturano e lo rinchiudono nella fortezza di Roccasecca tentando ogni argomento per indurlo a venir meno alla propria vocazione. Dopo 2 anni di inutili pressioni viene lasciato libero di prendere i voti religiosi. Studia a Colonia e a Parigi dove nel 1253 comincia a insegnare teologia. Compone opere filosofiche e teologiche d’importanza fondamentale ancora oggi: non solo per il contenuto della sua dottrina, ma anche per il rapporto dialogico che egli seppe instaurare con il pensiero arabo ed ebreo del suo tempo. In un’epoca in cui i pensatori cristiani riscoprivano i tesori della filosofia antica, e più direttamente aristotelica, egli ebbe il grande merito di porre in primo piano l’armonia che intercorre tra la ragione e la fede. La luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, egli argomentava; perciò non possono contraddirsi tra loro (Fides et Ratio, 44). “Ha mostrato che esse vanno insieme, che quanto appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla vera razionalità” (Benedetto XVI).
La sua geniale attività intellettuale ha la sua fonte nell’intensa vita spirituale. Dedica molto più tempo alla preghiera davanti al Crocifisso che allo studio: “Il legno della croce a cui le sue membra sono inchiodate, è come la cattedra dall’alto della quale il Maestro insegna”. Oppure quando avverte la necessità di una maggior chiarezza concettuale accosta fiducioso la fronte alla porticina del Tabernacolo. Tommaso ha spiegato con ineguagliabile chiarezza la dottrina della reale presenza di Gesù nell’Eucaristia; nel 1264 papa Urbano IV lo incarica di preparare gli inni e le preghiere per la Messa e l’Ufficio della festa del Corpus Domini.
Nel 1273, in seguito ad una intensa esperienza mistica, smette di scrivere e di insegnare, anche il suo fisico ne risente. Su ordine del Papa Gregorio X, ignaro del suo stato di salute, parte per Lione per partecipare al Concilio Ecumenico. Durante il tragitto, però, si ammala gravemente e viene ospitato nell’abbazia cistercense di Fossanova dove muore il 7 marzo. Canonizzato da papa Giovanni XXII nel 1323, la Chiesa celebra la sua memoria il 28 gennaio nella data della traslazione delle sue reliquie nel convento domenicano di Tolosa. Nel 1567 da Pio V è proclamato Dottore della Chiesa.
Sulla Preghiera
“Non è necessario che noi presentiamo preghiere a Dio per svelare a lui le nostre necessità e i nostri desideri ma per chiarire bene a noi stessi che in questi casi bisogna ricorrere all’aiuto di Dio. Dio nella sua liberalità ci dà molte cose anche senza che gliele chiediamo. Ma è per il bene nostro che alcune le condiziona alle nostre preghiere: cioè perché impariamo ad aver fiducia in lui, e a riconoscere che egli è causa dei nostri beni… Come insegna S. Agostino: ‘è lecito chiedere nella preghiera quello che è lecito desiderare’. Ora, è lecito desiderare le cose temporali: non come oggetto principale, così da mettere in esse il nostro fine; ma come coefficienti che ci aiutano a tendere verso la beatitudine, cioè in quanto ci servono al sostentamento della vita corporale, e in quanto aiutano strumentalmente i nostri atti di virtù… Dunque, noi dobbiamo desiderare il bene non solo per noi, ma anche per gli altri: ciò infatti rientra nei doveri di carità che siamo tenuti a esercitare verso il prossimo… Perciò la carità esige che noi preghiamo per gli altri. Come spiega S. Cipriano, non diciamo ‘Padre mio’ ma ‘nostro’; non ‘dammi’ ma ‘dacci’ proprio perché il Maestro dell’unione dei cuori non ha voluto che si facesse la preghiera in forma privata, cioè pregando ognuno soltanto per se stesso. Volle infatti che ciascuno pregasse per tutti, così come lui stesso portò nella sua unica persona il peso di tutti” (Summa Theologiae II-II q.83).
Francesco Costa