Don Biagio Verri

(Barni, 2 ottobre 1819 -Torino, 26 ottobre 1884)

 

Don Biagio Verri fu missionario apostolico, continuatore della “Pia Opera per il riscatto delle Fanciulle more” iniziata dal venerabile Sacerdote genovese Niccolò Olivieri.

Una volta si presentò a Savona con dieci morette. La Madre Rossello[1], che ne aveva già un bel drappello, pareva non avesse intenzione, per allora, di prenderne altre, ma poi disse. “Sì, una la prenderò per fare un’offerta al Cuore di Gesù”; e poco dopo: “un’altra per il purissimo Cuore di Maria”. Allora una delle morette, che aveva nome Giuseppina, senza alcun suggerimento: “Madre – le disse – anche me per S. Giuseppe. Mi chiamo Giuseppina”. E la Madre, intenerita: “Ebbene, sì; Gesù, Maria, Giuseppe. Piglierò anche te. Tre per amore della Sacra Famiglia”.

Finito di dire, stette alcuni istanti pensierosa e poi soggiunse: “Anzi ne piglierò cinque per le Piaghe di Gesù Crocifisso”. Qui però successe una scena commoventissima: le morette si misero in ginocchio attorno alla Madre, e la pregavano piangendo che volesse accettarle tutte e dieci. Ed ella, come smarrita, guardando in faccia quelle povere creature, non poté dire di no. Allora si voltò al Padre: “Ebbene, sì, le prendo tutte e dieci”. Il suo gran cuore di Madre aveva vinto. Ma il Padre, commosso, le disse: “Gliene lascerò otto, perché tutte hanno qualche difetto: Queste due, invece, sane e ben messe, le porterò altrove, per il bene dell’Opera”.

Chi era questo vero “Padre”, a cui stava tanto a cuore la sorte delle piccole schiave, che trattava come “tesori” da custodire e a cui assicurare la felicità terrena ed eterna?

Biagio Verri, nato nel piccolo comune di Barni, fra i due rami del lago di Como, giovanissimo, si era sentito chiamare al sacerdozio ed era stato ordinato sacerdote a Milano nella primavera del 1843. Per sette anni si dedicò ai giovani nell’Oratorio S. Luigi, in Milano. Nel 1850 incontrò Don Olivieri, il quale, di passaggio da Milano con un gruppo di morette, era ospite delle Suore Canossiane di via Comasina. Quando la Superiora gli presentò l’Olivieri, che non conosceva nessuno in quella città a cui rivolgersi per la questua, egli disse: “Io sono povero, ma ho buone conoscenze. Se volete posso condurvi da chi vi può aiutare”. Da quel momento nacque una grande amicizia fra i due e un’assidua corrispondenza che rinsaldava sempre più la loro collaborazione.

Amico di don Bosco, don Verri ogni tanto andava per qualche giorno di ritiro spirituale a Valdocco. “Fu qui, nella Chiesa di S. Francesco di Sales, che il Verri risolvette di cooperare coll’Olivieri nella pia Opera del Riscatto. Una sera mi chiese licenza di passare la notte dinanzi a Gesù Sacramentato, poiché aveva da chiedere a Lui un consiglio. Stette in Chiesa fino all’alba in continua e profonda orazione e ne uscì fermamente deciso di consacrare la sua vita all’eterna salvezza dei piccoli schiavi”[2].

Così, nel 1857, quando l’Olivieri tornò dall’Egitto, il Verri gli disse con semplicità: “Vorreste voi accettare i miei servizi?”.

Ottenuto il consenso dell’Arcivescovo, “don Biagio vendette quel po’ che aveva per destinarne il ricavato al Riscatto, diede un commosso addio all’Oratorio San Luigi e partì, munito, essendo un terziario francescano, della lettera del Ministro provinciale dei Cappuccini: Associandosi Ella al benemerito Sac. Olivieri nella pia Opera del riscatto delle fanciulle More; e, dietro approvazione delle Autorità sì Ecclesiastiche che Civili, essendo per recarsi a tal uopo in Alessandria d’Egitto, La munisco della presente, raccomandandola alla carità dei nostri Fratelli, presso i quali sarà ben volentieri e cordialmente ospitata: Tutto sia colla Benedizione di Dio. Cui vorrà pregare anche pel sottoscritto. Data dal Luogo nostro di Milano il giorno 8 di Dicembre 1857. Fra Lorenzo Maria. Era il 9 dicembre quando lasciarono Milano alla volta di Trieste, dove si sarebbero imbarcati, l’Olivieri per il suo tredicesimo viaggio e il Verri per il suo primo”[3].

Egli fu così iniziato dall’Olivieri al mestiere del ghellaba[4] di Dio nel mercato clandestino di Alessandria e del Cairo[5]. Le indicibili sofferenze di cui il Verri era testimone giustificavano insieme preghiere e penitenze, con le quali era pronto a qualunque fatica o sacrificio[6]. Anche dopo la morte dell’Olivieri, che lo chiamava figlio, incoraggiato dal Santo Padre Pio IX proseguì risolutamente l’Opera, in cui erano coinvolti laici, amici e benefattori.

Mediante il denaro delle offerte per celebrare delle Messe e con il ricavato della questua di città in città e da nazione a nazione, pagava per liberare quante più fanciulle poteva. Una volta riscattate, le circondava di infinito rispetto e di tenerissimo amore.

Centinaia di esse furono collocate nella Vigna di San Giuseppe del Cairo, dove la Madre Caterina Troiani[7] aveva aperto un Collegio per loro.

Solcato il mare, i conventi e i monasteri femminili si contendevano il privilegio di ospitarle. Il Padre, dopo aver accompagnato le morette nel monastero che aveva scelto per loro, continuava ad occuparsene: chiedeva notizie, scriveva, passava a visitarle; se non si trovavano bene in un posto, le accontentava trasferendole ad un altro.

Attirate all’amore divino dal Verri e dal clima di santità che si viveva nei monasteri, per molte di loro la consacrazione religiosa era il colmo dei desideri: “Prima battezza, dopo pax tecum, poi confessa, dopo mangia Gesù e poi metti velo”: così esprimevano i loro sentimenti due piccole africane[8]. E la grazia operò grandi cose nella vita di molte piccole riscattate.

Il Servo di Dio lasciò questa terra a Torino, nella Piccola Casa della Provvidenza, il 26 ottobre 1884, entrando nel gaudio del suo Signore, preceduto da uno stuolo di morette, in particolare dalle numerosissime più piccole, alle quali, particolarmente segnate dalle mutilazioni e dalle sofferenze patite, ma libere e amate, si erano aperte molto presto le porte del Paradiso.

Dai suoi Scritti

– “È sempre meglio mancare per troppa bontà che averne difetto”, rispondeva quando si tentasse di dimostrargli che le morette parevano abusare della sua soverchia bontà.

– “Sono i miei peccati! – esclamava quando qualche moretta non si comportava bene – Buon Gesù, abbiate pietà di me!”

– “Stiamocene sempre bassi, né ci curiamo che altri sia pro o contro di noi”.

– “Lasciamoci condurre dalla Provvidenza che ha le viste più lunghe di noi poveretti, ed ogni cosa volge in bene di chi a lei si affida”.

Il Processo informativo diocesano per la beatificazione del Servo di Dio don Biagio Verri fu aperto a Milano il 24 giugno 1921 dall’Arcivescovo Cardinale Ferrari. Il Cardinale Schuster il 22 febbraio 1935 emanò l’editto che autorizzava la raccolta degli scritti. La Congregazione dei Riti emanò il decreto di approvazione degli scritti il 10 dicembre 1943.

Dal silenzioso nascondimento della Causa, emerge per noi la preziosa testimonianza manoscritta del Beato Cardinale Schuster sull’esemplarità di questo umile ed eroico Servo di Dio:

Lo chiamano “l’apostolo delle Morette” e lo fu attraverso una lunga ed atroce “Via Crucis”. Ma la sua multiforme santità si affermò in tutto il vasto campo delle virtù sacerdotali: come educatore di ragazzi nell’oratorio milanese di S. Simpliciano; come direttore e plasmatore di anime; come insignito di doni carismatici; come un nuovo Francesco d’Assisi o Benedetto Giuseppe Labre; al pari di loro vendé tutto a vantaggio dei poveri, condividendo in perfetta letizia e per lunghi anni il consorzio con Madonna Povertà: due giorni prima di chiudere gli occhi alla terra, si fece accogliere tra i poveri del Cottolengo a Torino, e di là salì al Cielo lasciando alla terra appena le sue aride ossa. Non aveva nulla, proprio nulla! (Milano, 15 febbraio 1953).

[1] È Maria Giuseppa Rossello, Fondatrice delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia. La scena, raccontata da Giuseppina Ranzani, si svolse nella Casa Madre dell’Istituto, dove il Verri si recava passando da Savona.

[2] Cfr. C. CAMINADA, Il Missionario degli Schiavi, Como 1936, p. 90-91.

[3] TODARO M. TERESA, Lo schiavismo in Egitto nel XIX secolo e l’opera del riscatto delle morette africane, Roma 2008, p. 72.

[4] Termine arabo per indicare “negriero”.

[5] Lo schiavismo, abolito nel 1815 al Congresso di Vienna, era rimasto tuttavia in vigore, seppure clandestinamente. La tratta nel Sudan e in Etiopia durò per tutto il secolo e oltre. Lo studio di TODARO M. TERESA, op. cit., ne individua le cause profonde e ne descrive le modalità sulla base delle “Relazioni” giunte a Propaganda Fide (cfr. ibid. p. 16-20)

[6] Di molto furono dirette testimoni l’eroica “Nena”, Maddalena Bisio, già collaboratrice dell’Olivieri, e la “maestrina di Rho”, G. Ranzani, che anche dopo la sua professione religiosa come Figlia della Misericordia, rimase, in abito secolare, a servizio dell’Opera, accompagnando nei viaggi, educando e istruendo le morelle (cfr. L. Z., Cenni sulla vita del sacerdote Biagio Verri , Savona 1887).

[7] La beata Caterina di S. Rosa (1813-1887), fondatrice delle Francescane Missionarie d’Egitto.

[8] Cfr. TODARO M. TERESA, op. cit., p. 108.

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