Juan de Ávila nasce il 6 gennaio 1500 ad Almodóvar del Campo, cittadina della Castiglia. Figlio unico di discendenti di ebrei convertiti, proprietari di una miniera d’argento nella Sierra Morena, inizia gli studi in Legge a Salamanca ma poi li interrompe bruscamente per dedicarsi alla preghiera e alla penitenza nella casa paterna. Nel 1520, accettando il consiglio del suo padre spirituale, intraprende gli studi di filosofia e teologia all’Università di Alcalà. Nel 1525, ormai orfano, è consacrato sacerdote e celebra nella chiesa dove sono sepolti i genitori. Prende una decisione radicale: vendere la miniera, dare il ricavato ai poveri e partire missionario nelle Indie. A Siviglia, però, a causa delle sue note origini ebraiche, gli viene proibito d’imbarcarsi per l’America. L’arcivescovo di Siviglia Alfonso Marrique, conquistato dalla sua sapienza oratoria, lo scongiura di rimanere presso di lui come formatore del clero e come predicatore per un popolo carente di conoscenza della dottrina cattolica: durante la reconquista operata dai Re Cattolici, gran parte delle conversioni dall’ebraismo e dall’islam erano state solo fittizie o per lo meno superficiali. Perciò il “Padre Ávila” per ben nove anni percorre tutta l’arcidiocesi di Siviglia insegnando il catechismo ai bambini e la pratica della meditazione agli adulti; commenta e passa le ore a confessare, convertendo persone di ogni età e classe sociale, guidandole nel cammino di preghiera. Per la nobildonna Sancha Carrillo, sua figlia spirituale, scrive il celebre trattato spirituale: Audi Filia. Il suo esempio è contagioso: molti sacerdoti si mettono alla sua sequela per condividerne le austerità ascetiche e lo zelo apostolico. Nel 1531 è denunciato all’Inquisizione; in prigione traduce in spagnolo l’Imitazione di Cristo. Completamente riabilitato, dopo un anno tornò al pulpito della Collegiata del Salvatore di Siviglia predicando sul dovere cristiano di amare e perdonare i propri persecutori. Nelle diocesi di Cordova e Granada fonda seminari ed università per l’istruzione e la formazione del clero, continuando nella incessante attività di predicatore per città e villaggi, missione che gli meriterà l’appellativo di Apostolo dell’Andalusia. Ascoltandolo predicare in una chiesa di Granada sboccia la vocazione di S. Giovanni di Dio per la cura dei malati. Sempre a Granada la sua omelia al funerale dell’imperatrice Isabella, sposa di Carlo V, causerà la crisi spirituale di S. Francesco Borgia, duca di Gandìa, che, abbandonato ogni onore mondano, diventerà gesuita. Estimatore di S. Ignazio di Loyola, cede ai gesuiti le istituzioni scolastiche fondate. Un suo Memorandum sulla riforma della Chiesa, presentato dal vescovo di Granada al Concilio di Trento, divenne la fonte ispiratrice delle decisioni conciliari. Dal 1554, segnato dalla malattia, abbandona la vita missionaria e si ritira nella cittadina di Montilla dedicandosi alla direzione spirituale. A lui ricorre S. Teresa d’Avila, ricevendo la rassicurazione della ortodossia del proprio metodo di orazione mentale. Muore il 10 maggio 1569. Dichiarato Venerabile nel 1759, è beatificato da Leone XIII nel 1894. Nel 1969 – IV centenario della morte – il clero spagnolo ottiene dalla Santa Sede che sia proclamato speciale patrono dei sacerdoti diocesani di Spagna. Nel 1970 Paolo VI lo canonizza indicandolo come esempio e modello di autentico rinnovamento ecclesiale: “Ogni Prete, che dubitasse della propria vocazione, può avvicinare il nostro Santo ed avere una risposta rassicurante… Giovanni è un uomo povero e modesto… non è parroco, non è religioso; è un semplice prete, di scarsa salute e di più scarsa fortuna dopo i primi esperimenti del suo ministero… Ma Giovanni non dubita. Ha la coscienza della sua vocazione. Ha la fede nella sua elezione sacerdotale… in questa certezza della sua «identità» sacerdotale la sorgente del suo impavido zelo, della sua fecondità apostolica, della sua sapienza di lucido riformatore della vita ecclesiastica e di squisito direttore di coscienze. San Giovanni d’Ávila insegna almeno questo, e soprattutto questo al Clero del nostro tempo, di non dubitare dell’essere suo: Sacerdote di Cristo, ministro della Chiesa, guida ai fratelli.” Da Papa Benedetto XVI è proclamato Dottore della Chiesa Universale.