Carlo Gaetano Calosirto nasce a Ischia il 15 agosto del 1654. Nella nobile famiglia Calosirto si prega molto, si digiuna le vigilie delle feste e si ha grande devozione alla Vergine Maria per la cui intercessione all’età di due anni il piccolo Carlo guarisce miracolosamente dalla peste: si racconta che i genitori, mentre lo stavano portando ai piedi della Madonna della Libera, venerata nel Castello Aragonese, si accorsero che i bubboni erano completamente scomparsi.
Educato dai padri Agostiniani, a 15 anni appena compiuti chiede di essere accolto nella congregazione dei Francescani Scalzi, detti “Alcantarini” perché osservanti la Regola dei Frati Minori secondo la severa riforma attuata nel ‘500 da S. Pietro d’Alcantara. A 16 anni entra nel loro convento napoletano di Santa Lucia al Monte e assume il nome di Giovan Giuseppe della Croce. Scelta dovuta alla sua grande devozione al castissimo sposo della Vergine e all’affetto al padre di nome Giuseppe, morto quando lui aveva appena 10 anni; inoltre all’ammirazione dello spirito di penitenza del Battista e in onore dell’Evangelista a cui dalla croce Gesù consegna Maria come madre.
Dopo la solenne professione religiosa, avvenuta il 24 giugno 1671, è inviato assieme ad altri undici frati, di cui egli era il più giovane, a Piedimonte d’Alife dove presso il santuario di Santa Maria Occorrevole avrebbero edificato un convento. Qui, innamoratosi della preghiera lunga e fervorosa nel silenzio abitato da Dio, costruisce quasi da solo un altro piccolo conventino detto “La Solitudine” in una zona più nascosta del bosco. Consacrato sacerdote il 18 settembre 1677, per parecchi anni è contemporaneamente maestro dei novizi a Napoli e padre guardiano del convento a Piedimonte, mentre si adoperava anche per la costruzione del convento del Granatello in Portici (Na).
Il desiderio di silenzio e di unione con Dio non lo estraniano dal mondo, anzi gli donano una sensibilità maggiore per le tante miserie morali e materiali che incontra nei vicoli di Napoli, in cui si aggira, perennemente scalzo malgrado ogni intemperie, per alleviare le sofferenze dei poveri, specialmente durante le varie epidemie che periodicamente colpiscono la popolazione. Ammalatosi gravemente, i superiori lo mandano nella natia Ischia. Appena guarito, eccolo nuovamente per le strade di Napoli, povero tra i poveri con sempre indosso il suo unico saio così tanto rattoppato che affettuosamente i napoletani cominciarono a chiamarlo “Padre Centopezze”.
Sui suoi passi fioriscono miracoli: si parla di apparizioni della Madonna e di Gesù Bambino, bilocazioni, levitazioni, profezie, guarigioni, moltiplicazioni, addirittura della risurrezione del marchesino Gennaro Spada, ma innanzi tutto è ricercato per la confessione e la direzione spirituale anche da santi autentici come Alfonso Maria de’ Liguori e il gesuita Francesco de Geronimo (con i quali verrà canonizzato). Agli inizi del 1700 sorgono dissensi tra gli alcantarini provenienti dalla Spagna e quelli italiani che portano alla decisione pontificia di separare i due gruppi. Padre Giovan Giuseppe venne messo a capo dei circa 200 alcantarini italiani che egli guidò al rispetto più conforme della Regola, avendo particolare cura per la formazione dei novizi e dei chierici; cercò sempre di tessere rapporti di vera carità con i confratelli spagnoli finché nel 1722, con decreto pontificio, i due rami alcantarini furono nuovamente uniti. Muore ottantenne il 5 marzo 1734, nello stesso convento napoletano di Santa Lucia al Monte in cui era entrato novizio 65 anni prima. Al confratello che lo assiste, le sue ultime parole: “Ti raccomando la Madonna!” sono il testamento del suo amore filiale a Maria Santissima. Beatificato nel 1789, nel furor di popolo viene eletto compatrono di Napoli; è canonizzato da Gregorio XVI nel 1839. Nel 2003 il vescovo di Ischia, mons. Filippo Strofaldi, ha ottenuto che le spoglie venissero trasferite nel convento francescano dell’Isola, tra la sua gente che lo venera come Santo Patrono.