E’ un grande dono di grazia ricevere dal Santo Padre Benedetto XVI una catechesi sulla preghiera di Gesù nell’Ultima Cena (mercoledì 11 gennaio 2012). La proponiamo ai Lettori in questo numero che comprende la celebrazione della Settimana Santa e in modo particolare del Giovedì Santo nel quale facciamo memoria liturgica proprio della Santa Cena. Siamo certi che a tutti – sacerdoti e popolo di Dio – sarà utile riscoprire il dono di Sé che Gesù ci offre nella Santa Pasqua e che continuamente rinnova nel Sacramento della Eucaristia. Il nostro cammino annuale, che ci sta guidando alla esperienza della preghiera, trova qui il suo punto focale, il culmine, la fonte della santificazione personale e comunitaria. Qual è allora il nucleo di questa Cena? Sono i gesti dello spezzare il pane, del distribuirlo ai suoi e del condividere il calice del vino con le parole che li accompagnano e nel contesto di preghiera in cui si collocano: è l’istituzione dell’Eucaristia, è la grande preghiera di Gesù e della Chiesa. Ma guardiamo più da vicino questo momento. Anzitutto, le tradizioni neotestamentarie dell’istituzione dell’Eucaristia (cfr 1 Cor 11, 23-25; Lc 22, 14-20; Mc 14, 22-25; Mt 26, 26-29), indicando la preghiera che introduce i gesti e le parole di Gesù sul pane e sul vino, usano due verbi paralleli e complementari. Paolo e Luca parlano di eucaristia/ringraziamento: «prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro» (Lc 22, 19). Marco e Matteo, invece, sottolineano l’aspetto di eulogia/benedizione: «prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro» (Mc 14, 22). Ambedue i termini greci eucaristeìn e eulogeìn rimandano alla berakha ebraica, cioè alla grande preghiera di ringraziamento e di benedizione della tradizione d’Israele che inaugurava i grandi conviti. Le due diverse parole greche indicano le due direzioni intrinseche e complementari di questa preghiera. La berakha, infatti, è anzitutto ringraziamento e lode che sale a Dio per il dono ricevuto: nell’Ultima Cena di Gesù, si tratta del pane – lavorato dal frumento che Dio fa germogliare e crescere dalla terra – e del vino prodotto dal frutto maturato sulle viti. Questa preghiera di lode e ringraziamento, che si innalza verso Dio, ritorna come benedizione, che scende da Dio sul dono e lo arricchisce. Il ringraziare, lodare Dio diventa così benedizione, e l’offerta donata a Dio ritorna all’uomo benedetta dall’Onnipotente. Le parole dell’istituzione dell’Eucaristia si collocano in questo contesto di preghiera; in esse la lode e la benedizione della berakha diventano benedizione e trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù. Prima delle parole dell’istituzione vengono i gesti: quello dello spezzare il pane e quello dell’offrire il vino. Chi spezza il pane e passa il calice è anzitutto il capofamiglia, che accoglie alla sua mensa i familiari, ma questi gesti sono anche quelli dell’ospitalità, dell’accoglienza alla comunione conviviale dello straniero, che non fa parte della casa. Questi stessi gesti, nella cena con la quale Gesù si congeda dai suoi, acquistano una profondità del tutto nuova: Egli dà un segno visibile dell’accoglienza alla mensa in cui Dio si dona. Gesù nel pane e nel vino offre e comunica Se stesso. Ma come può realizzarsi tutto questo? Come può Gesù dare, in quel momento, Se stesso? Gesù sa che la vita sta per essergli tolta attraverso il supplizio della croce, la pena capitale degli uomini non liberi, quella che Cicerone definiva la mors turpissima crucis. Con il dono del pane e del vino che offre nell’Ultima Cena, Gesù anticipa la sua morte e la sua risurrezione realizzando ciò che aveva detto nel discorso del Buon Pastore: «Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10, 17-18). Egli offre in anticipo la vita che gli sarà tolta e in questo modo trasforma la sua morte violenta in un atto libero di donazione di sé per gli altri e agli altri. La violenza subita si trasforma in un sacrificio attivo, libero e redentivo. Ancora una volta nella preghiera, iniziata secondo le forme rituali della tradizione biblica, Gesù mostra la sua identità e la determinazione a compiere fino in fondo la sua missione di amore totale, di offerta in obbedienza alla volontà del Padre. La profonda originalità del dono di Sé ai suoi, attraverso il memoriale eucaristico, è il culmine della preghiera che contrassegna la cena di addio con i suoi. Contemplando i gesti e le parole di Gesù in quella notte, vediamo chiaramente che il rapporto intimo e costante con il Padre è il luogo in cui Egli realizza il gesto di lasciare ai suoi, e a ciascuno di noi, il Sacramento dell’amore, il «Sacramentum caritatis». Per due volte nel cenacolo risuonano le parole: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11, 24.25). Con il dono di Sé Egli celebra la sua Pasqua, diventando il vero Agnello che porta a compimento tutto il culto antico. Per questo san Paolo parlando ai cristiani di Corinto afferma: «Cristo, nostra Pasqua [il nostro Agnello pasquale!], è stato immolato! Celebriamo dunque la festa … con azzimi di sincerità e di verità» (1 Cor 5, 7-8). L’evangelista Luca ha conservato un ulteriore elemento prezioso degli eventi dell’Ultima Cena, che ci permette di vedere la profondità commovente della preghiera di Gesù per i suoi in quella notte, l’attenzione per ciascuno. Partendo dalla preghiera di ringraziamento e di benedizione, Gesù giunge al dono eucaristico, al dono di Se stesso, e, mentre dona la realtà sacramentale decisiva, si rivolge a Pietro. Sul finire della cena, gli dice: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 31-32). La preghiera di Gesù, quando si avvicina la prova anche per i suoi discepoli, sorregge la loro debolezza, la loro fatica di comprendere che la via di Dio passa attraverso il Mistero pasquale di morte e risurrezione, anticipato nell’offerta del pane e del vino. L’Eucaristia è cibo dei pellegrini che diventa forza anche per chi è stanco, sfinito e disorientato. E la preghiera è particolarmente per Pietro, perché, una volta convertito, confermi i fratelli nella fede. L’evangelista Luca ricorda che fu proprio lo sguardo di Gesù a cercare il volto di Pietro nel momento in cui questi aveva appena consumato il suo triplice rinnegamento, per dargli la forza di riprendere il cammino dietro a Lui: «In quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto» (Lc 22, 60- 61). Cari fratelli e sorelle, partecipando all’Eucaristia, viviamo in modo straordinario la preghiera che Gesù ha fatto e continuamente fa per ciascuno affinché il male, che tutti incontriamo nella vita, non abbia a vincere e agisca in noi la forza trasformante della morte e risurrezione di Cristo. Nell’Eucaristia la Chiesa risponde al comando di Gesù: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19; cfr 1Cor 11, 24-26); ripete la preghiera di ringraziamento e di benedizione e, con essa, le parole della transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Signore. Le nostre Eucaristie sono un essere attirati in quel momento di preghiera, un unirci sempre di nuovo alla preghiera di Gesù. Fin dall’inizio, la Chiesa ha compreso le parole di consacrazione come parte della preghiera fatta insieme a Gesù; come parte centrale della lode colma di gratitudine, attraverso la quale il frutto della terra e del lavoro dell’uomo ci viene nuovamente donato da Dio come corpo e sangue di Gesù, come auto-donazione di Dio stesso nell’amore accogliente del Figlio (cfr Gesù di Nazaret, II, pag. 146). Partecipando all’Eucaristia, nutrendoci della Carne e del Sangue del Figlio di Dio, noi uniamo la nostra preghiera a quella dell’Agnello pasquale nella sua notte suprema, perché la nostra vita non vada perduta, nonostante la nostra debolezza e le nostre infedeltà, ma venga trasformata. Chiediamo al Signore che, dopo esserci debitamente preparati, anche con il Sacramento della Penitenza, la nostra partecipazione alla sua Eucaristia, indispensabile per la vita cristiana, sia sempre il punto più alto di tutta la nostra preghiera. Domandiamo che, uniti profondamente nella sua stessa offerta al Padre, possiamo anche noi trasformare le nostre croci in sacrificio, libero e responsabile, di amore a Dio e ai fratelli. © Editrice Vaticana