Filippo Latino nasce ai primi di febbraio del 1605 a Corleone, cittadina della provincia di Palermo. È il quinto dei sette figli di Leonardo, il calzolaio del paese e di Francesca Sciascia, casalinga e terziaria francescana. La famiglia Latino popolarmente detta “casa di santi” è una vera “chiesa domestica” per la comune devozione dei genitori verso Dio e per la generosa carità verso i poveri, dando così ai figli un concreto modello di vita cristiana da imitare.
Filippo mostra di avere un carattere vivace, irruento e focoso, sostenuto da una prestanza fisica e una forza non comune. Frequentava i sacramenti con assiduità e non si vergognava di farsi vedere in preghiera nelle chiese del paese e ogni volta che aveva dato causa a qualche dispiacere subito s’andava a confessare. Membro del Terz’Ordine francescano, a quelli che con “Mastro Filippo” ormai ventenne discorrono di matrimonio, indica il cingolo francescano appeso alla parete della bottega e risponde che la sua sposa è “lu curduni di san Francesco”. I compaesani sono concordi nell’affermare che: “nissunu difettu ci era nutato, si non la caldizza ch’avia in mettiri manu a la spata quando era provocatu”. Nella bottega di calzolaio, infatti, accanto al cordone francescano c’è appesa anche una spada che Filippo sa usare con destrezza, essendosi allenato presso il locale presidio di soldati borgognoni, mercenari al soldo del Viceré spagnolo. Si serve della propria spada per impedire i soprusi e le angherie con cui è vessata la povera gente, soprattutto da parte dei soldati stranieri di stanza a Corleone. Si fece così la fama di essere “la prima lama di Sicilia” e molti spadaccini venivano da Palermo per sfidarlo; uno di questi, ferito nell’orgoglio per essere stato battuto, assolda un sicario di nome Vito Canino. Nell’estate del 1626, questi si presenta alla bottega di mastro Filippo e dopo averlo provocato con insulti e volgarità lo sfida a duello, ricevendone una ferita che gli resterà per sempre, rendendo inabile il braccio destro. Filippo, sconvolto per ciò che ha fatto, si rifugia nella vicina chiesa dei Cappuccini chiedendo umilmente di diventare frate per espiare il proprio peccato. Comincia una sorta di postulandato presso il convento dei cappuccini frequentando assiduamente i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Dopo più di 5 anni giungerà la sospirata autorizzazione a recarsi nel convento di Caltanissetta per il noviziato e il 13 dicembre del 1631 prende il nome di frate Bernardo.
La forma di vita ascetica fatta di preghiera, mortificazione e ubbidienza intrapresa risolutamente nel noviziato sarà la regola costante di tutta la sua vita religiosa trascorsa in diversi conventi della Sicilia occidentale, dove veniva destinato. Passò la maggior parte della vita religiosa facendo il cuoco e curando i confratelli ammalati senza mostrare mai stanchezza e aggiungendo agli impegni ordinari attività supplementari, considerandosi il servo di tutti.
Alla contemplazione di Gesù paziente sulla croce, univa la devozione al mistero dell’Eucaristia. In un’epoca in cui la Comunione quotidiana non era frequente nemmeno tra i religiosi, fra’ Bernardo si comunicava ogni mattina. Quando poteva, sia di giorno che di notte, lo si trovava in ginocchio all’altare del Sacramento con gli occhi fissi al Tabernacolo e spesso piangendo e sospirando fortemente. Ciò sarà fonte di mormorazioni e umiliazioni da parte di superiori e confratelli che lo accusano di stare troppo in chiesa e poco curarsi dei lavori domestici a vantaggio della comunità. Dal 1653 fra’ Bernardo è destinato a far parte della numerosa comunità cappuccina del convento di Palermo. Quando vi arrivano frati forestieri, sia di passaggio che destinativi da provvedimenti disciplinari, fra Bernardo li abbraccia e lava loro i piedi, sempre con la più grande allegria. Nobili e gente del popolo accorrono a lui per consigli e direzione spirituale, essendosi diffusa la convinzione che abbia il dono di scrutare i cuori, come quando nella chiesa del convento di Palermo, incrociando un giovane mai visto che stava progettando un assassinio gli disse: “Ah meschinaccio! che pensi di fare? Non ti accorgi che lo spirito di vendetta ti tiene ammalato e ti travolge la mente? Se non perdoni al tuo nemico precipiterai nell’inferno”. Muore il 12 gennaio 1667. I processi di beatificazione attestano che il giorno stesso della morte avvennero molti miracoli per sua intercessione. È beatificato nel 1768; nell’anno 2001 è canonizzato da Giovanni Paolo II.